E’ incredibile lo strabismo messo in luce dalla politica italiana a fronte dell’intesa FIAT-Pomigliano, ma tant’è. Il PD, in piena afasia strategica e sotto la pressione del’OPA Vendoliana, viene chiamato direttamente in causa dalla FIOM, che dovrebbe invece vedersela in CGIL, l’attuale sindaco di Torino si propone come interlocutore nazionale della corporation internazionale con sede a Torino e il candidato sindaco Fassino si accredita come interlocutore locale. Mentre il governo italiano prende atto dell’accordo con un ruolo notarile , a buon rendere, quando si tratteranno questioni inerenti contenuti editoriali e sistema radiotelevisivo piuttosto che le grandi condotte di combustibili. Incassando, in un colpo solo, l’indebolimento dell’unità sindacale, che non era al dunque riuscita con il “Patto per l’Italia”, e la relativizzazione della Confindustria come soggetto negoziale. La questione ignorata è il Paradigma FIAT, che si definisce, si muove e si disloca all’interno dei cambiamenti industriali e dei flussi finanziari imposti dalla natura multipolare della globalizzazione.
Noi non disponiamo di un sistema normativo e di una politica capaci di tradursi sul piano territoriale con qualità delle infrastrutture, dei servizi, dell’ambiente, adeguati a favorire la ricerca e la competitività delle nostre aziende, che si arrangiano anche significativamente. Adeguati ad attrarre investimenti industriali internazionali, non solo mano d’opera a basso costo, lavoro nero e contraffazione. Cosa dovrebbe fare una politica pubblica di un regime democratico, in quanto tale rispondente agli interessi generali di queste e delle future generazioni, a fronte di questo processo paradigmatico? Sul piano interno fare in modo che le rappresentanze nei processi negoziali, nei conflitti e negli accordi, da ratificare con i referendum e poi da rispettare, siano scelte dai lavoratori, gli stessi che poi votano ai referendum confermativi, in modo chiaro. Occorre cioè che l’espressione della rappresentanza non consenta rendite speculative di interdizione sugli accordi alla fine definiti e ratificati: pluralismo nella rappresentanza ed efficacia nella decisione. Questa è sostanza in una comunità nazionale che non vuole assecondare la sua dissoluzione attraverso l’atomizzazione sociale ed il qualunquismo. C’è un altro aspetto, se possibile ancor più significativo, che è un indicatore dell’autonomia e della capacità di azione e visione della politica pubblica italiana. Se la scala odierna delle relazioni economiche, finanziarie, sociali, tecnologiche, ambientali, è quella della globalizzazione in quello che è diventato pienamente il “villaggio globale”, o la politica è protagonista a quel livello o non è altro che l’uso di rappresentanza e risorse per relazioni imprenditoriali e finanziarie personali o di cordata.
Che iniziativa ha preso il governo italiano affinché l’Europa definisse un quadro di riferimento minimo per le relazioni industriali? Quale iniziativa per una comune azione politica europea dentro la ridefinizione dei mercati globali e dei loro protagonisti perché vi siano parametri comuni relativi ai diritti sindacali ed ambientali? E’ evidente che anche gli altri stati europei non vanno oltre la comune definizione degli standard da rispettare nella gestione degli effetti da vasi comunicanti del deficit/debito delle singole nazioni, ma questo non impedisce, anzi richiede, un’azione politica significativa. Insomma, che FIAT e sindacati siano portatori di interessi unilaterali è nelle cose, che non ci sia una indicazione di prospettiva di innovazione partecipata e un’azione che la pratichi da parte della politica costituisce una patologia per l’identità e il senso della Repubblica. Cos’altro se non andare all’estero per le Partite IVA della Conoscenza, costrette ad una adolescenza ed una precarietà senza fine?
mercoledì 12 gennaio 2011
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