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mercoledì 18 ottobre 2023

L'Europa è adesso!

La violenza in città e l'urbanistica

LA VIOLENZA IN CITTÀ E L’URBANISTICA Una deriva che sembra inarrestabile Tre i raid a colpi d’arma da fuoco nella zona del Parco Verde di Caivano, nella cintura metropolitana di Napoli, da quando la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è andata personalmente sul posto lo scorso 31 agosto. Nel corso dell’ultima hanno sparato 19 volte con armi di due diversi calibri. A Tor Bella Monaca, periferia di Roma, la sera di martedì ventinove agosto un ventottenne ha tentato di investire con lo scooter il prete antimafia don Antonio Coluccia impegnato nella marcia della legalità. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Sempre lì, uno spacciatore denunciato per l’aggressione alla portavoce del comitato collaboratori di giustizia dell’associazione “Laboratorio una donna”, in stato di libertà, è stato arrestato per lesioni aggravate: lo scorso 9 settembre aggredì Maricetta Tirrito, volontaria di Ostia che stava partecipando all’iniziativa promossa dopo il tentato omicidio di don Coluccia. I parlamentari della Commissione parlamentare di inchiesta hanno ascoltato decine di persone, da Scampia a Napoli ai carruggi di Genova, dal quartiere Zen alla Vucciria a Palermo, dalle periferie torinesi a quelle romane, e ovunque vi sia un’area degradata in Italia. Ne esce un quadro preoccupante: almeno 15 milioni di persone in Italia vivono in situazioni di degrado nelle periferie e nei centri urbani. La commissione ha rilevato il profondo degrado delle costruzioni realizzate negli ultimi cinquant’anni. “In tutte le grandi città italiane le scelte architettoniche di pianificazione delle periferie compiute per affrontare l’emergenza abitativa, invece di risolvere il problema lo hanno aggravato. Accade in quartieri come Scampia a Napoli, Zen a Palermo, Corviale a Roma, le Dighe a Genova, San Paolo a Bari.”. Milano non è immune da questa condizione, basti pensare al quartiere San Siro, periferia ovest di Milano. A pochi isolati dallo stadio Meazza, sotto Piazza Segesta, si passa dal giorno residenziale e benestante, dove ci sono le case dei calciatori di Milan e Inter, dj e cantanti, alla notte delle case popolari dove oltre il 50 per cento della popolazione è di origine extracomunitaria e composta da 85 etnie vive con i muri che cadono a pezzi, le frecce nere sull’asfalto che indicano dove comprare una dose, e ragazzi con videocamera: le vedette che, in auto, controllano il territorio. Come hanno potuto verificare gli assessori Granelli e Maran in visita sul posto. Come ha evidenziato il resoconto della Commissione parlamentare di inchiesta. Da Milano a Palermo cresce il racket delle case popolari. Quartieri illegali e ghettizzati dove lo Stato sembra assente. Da Nord a Sud nelle periferie delle grandi città c’è un tessuto sociale organizzato di bande e malavita organizzata che alle istituzioni risponde che lì comandano loro. Così nel quadrilatero delle case popolari del quartiere di San Siro, secondo i dati della Prefettura, su seimila alloggi popolari si contano oltre 800 occupazioni abusive su seimila alloggi popolari, nella scuola di via Paravia non ci sono studenti italiani e nell’oratorio di don Fabio su 56 ragazzi solo 5 sono italiani. Di quale inclusione parliamo in un contesto così? Il racket, portato avanti dalla malavita locale, chiede tremila euro in cambio di un appartamento. A Nord il livello di soddisfazione rilevato per la qualità della vita è superiore all’80 per cento, nella zona Selinunte scende quasi di 30 punti, tra i più bassi dell’intera città. Non che sia diverso nel quadrilatero di via Odazio e Piazza Tirana, tra via Giambellino e via Lorenteggio. Ormai non sorprende l’esortazione e la considerazione dell’ineffabile sindaco Sala per “Andare oltre il tema delle periferie” cioè “Nelle grandi città dobbiamo andare veramente un po’ oltre il tema. Non è che non ci sia più. A Milano ci sono ancora zone periferiche difficili, ma non mi sentirei più di dire che c’è un centro e delle periferie e inoltre anche i cittadini del centro sentono i problemi”. Infatti, lui della zona San Siro vede solo l’area oltre Piazza Segesta dove è stata approvata dalla sua giunta la delibera di pubblico interesse per la costruzione di un nuovo impianto affiancato da un distretto multifunzionale, finanziato da Inter e Milan e dal valore di 1,2 miliardi di euro. Così sull’area dell’ex Trotto ha deciso di investire il gigante immobiliare Hines con un nuovo centro residenziale, dove vorrebbero costruire l’impianto da padel più grande d’Italia. al posto delle ex scuderie arriverà un centro termale di lusso e 400 appartamenti. La gentrificazione di Milano, combinata con il risiko fondiario immobiliare dei fondi di investimento, non basterebbe a spiegare questa separazione sociale e urbanistica. Ci vuole una assoluta mancanza di compassione per la città e la comunità che ci vive, insieme a una assenza totale di consapevolezza del ruolo di indirizzo che tocca alla politica pubblica. Questa frattura sociale prende corpo nella mancanza di soggettività della politica che lascia il compito ai soggetti della deriva finanziaria dell’economia, generatori indifferenti di marginalità e disuguaglianza sociale. Il fatto che da noi questa situazione non abbia prodotto rivolte diffuse, come nelle banlieue delle città francesi non significa che non abbia la stessa gravità di separazione culturale, sociale, scolastica, politica, istituzionale. Eppure altre pratiche, altre modalità di ripristino della legalità accompagnata da attenzione sociale sarebbero possibili, proprio a partire dalle case popolari, un tempo laboratorio dell’emancipazione sociale con biblioteche, centri sociali, sedi dei partiti popolari, lavatoi comuni. Basterebbe aggiornare le funzioni e mandare operatori volenterosi e motivati a progetti di partecipazione. Ad esempio il progetto di azione concreta partecipata di orticoltura sociale urbana ‘La Terra che non c’è’ in zona via Padova, coinvolge studenti del liceo e generazioni anziane attraverso la co-progettazione. Si creano comunità con condivisione di pratiche e senso del proprio territorio. Eppure non risulta un coinvolgimento dei due animatori Antonio Ferrante e Elisabetta Bianchessi per usare questa esperienza come modulo e matrice per riproporla nelle altre periferie milanesi e negli spazi residuali e abusivi della cintura urbana. Paolo Natale, docente di sociologia alla Statale di Milano, alla luce di una sua ricerca ha constatato che «Sembra ci siano residenti di serie B, non considerati e non coinvolti». A metà del secolo, come ricorda l’ONU, oltre il 70% della popolazione mondiale sarà inurbata: quale qualità del vivere sociale urbano pensiamo di proporre? La questione riguarda tutti ed ha direttamente a che vedere con la crisi dell’istituto della democrazia e della partecipazione che la vivifica. Non sorprende l’unicità del commento del Ministro Crosetto “C’è paura in Francia, c’è paura in tutta la Francia, da fuori non possiamo che osservare ed augurarci che finisca. E questo deve insegnarci che le disuguaglianze che si sono create negli ultimi 20 anni vanno affrontate in modo serio. Penso che l’Europa debba porsi il tema. C’è un’Europa dei mercati, delle regole, un’Europa che abbiamo sempre avuto in mente tutti, una Europa delle persone e dei popoli. L’Europa delle persone e dei popoli esiste quando a quando gli ultimi, delle banlieue francesi, o delle nostre periferie non sono lasciati indietro. Perché se le persone sono lasciate indietro, si crea l’humus per cose di questo tipo, questo non può essere un problema francese ma di tutti quelli che pensano che la società debba essere inclusiva, debba creare condizioni di vita buone per tutti perché se non è così, poi alla fine la violenza esce fuori. Quindi non lasciamo la Francia sola ma soprattutto prendiamo lezione da quello che sta accadendo”. Fiorello Cortiana