Comprensibilmente i dirigenti milanesi e regionali del PD propongono il modello Lombardia come chiave per uscire dalla stretta grillina (e anche di De Magistris). Milano e Varese hanno costituito due banchi di prova tanto contro un credibile esponente di ciò che resta di Forza Italia, quanto del sindaco leghista nella roccaforte di Maroni. È vero, i ballottaggi con i cinque stelle hanno avuto solo esiti negativi ma, in uno dei quattro motori d’Europa, già si guarda alle regionali come a una partita aperta. Credo che ci siano, ancora una volta, un rischio di strabismo e uno di sopravvalutazione di sé.
Pensare che la non partecipazione al voto sia un segno di modernità e non di insoddisfazione per l’offerta politica in campo può poi presentare sorprese. Così vale per la presunzione di autosufficienza, con contorno di cespugli creati con mestiere. Del resto, l’unica possibile esperienza di riformismo radicale, che poteva concorrere e competere al governo di Milano fuori dalla consociazione degli affari e dal Nazareno, è stata condotta sul piano inclinato delle velleità e della piccola bottega.
La presentazione dei referendum cittadini, il ricorso alla Corte Costituzionale sul voto di secondo livello per il sindaco metropolitano e la presentazione di una legge di iniziativa popolare per l’elezione diretta degli organi della Città Metropolitana hanno costituito uno spazio politico definito dai principi della partecipazione informata dei cittadini al processo deliberativo, della sostenibilità, della bellezza e dell’inclusione, per Milano città metropolitana.
I Garanti del Comune non hanno esercitato la loro funzione esprimendo il parere sui referendum, che così sono stati fermati. La lista aperta Costituente per la Partecipazione non ha avuto una continuità dal Consiglio Metropolitano alle elezioni amministrative, nonostante l’affollamento trasversale in Sala Alessi a Palazzo Marino. Chi era all’interno della continuità con la coalizione Pisapia si è adoperato per minare ogni possibile candidato sindaco capace di raccogliere una trasversalità ampia, dai radicali alla sinistra critica.
C’è qualcosa di più che occorre registrare in questa situazione, che presenta per la cultura della partecipazione democratica i conti della fine della Prima Repubblica. Fuori dal Nazareno, fuori dalla consociazione locale, ben rappresentata dalla M4, tracciato, soluzione tecnologica, finanziaria, esautoramento del Consiglio Comunale, non si è costituita una rete, non dico una classe dirigente, con una qualità esistenziale adeguata a definire un’alternativa municipale. Chi per poter giocare un ruolo, tra il malmostoso è il rancoroso, all’interno del PD, chi negoziando strapuntini scommettendo sul candidato sindaco ritenuto vincente, chi negoziando nulla e votando con il naso turato, chi con velleità di rappresentanza civica non riconosciuta dagli elettori.
Così, invece che una rappresentanza con capacità negoziale, rispondente agli interessi generali e decisa ad assumere responsabilità di governo, coloro che volevano spazi per la Cittadinanza Attiva, partecipazione informata, bellezza, inclusione sociale e innovazione diffusa, con la concretizzazione dell’esito dei referendum, si sono ritrovati con un pugno di mosche. La presenza vigile di Basilio Rizzo e un riconoscimento ai radicali di per sé non mettono al centro del confronto, né della partecipazione, le funzioni da prospettare per gli scali ex ferroviari. È una questione cruciale ed emblematica per la natura della democrazia partecipata e per la qualità della politica pubblica. Si tratta di aree infrastrutturate e servite da rotaie che interessano in modo circolare Milano e che, insieme al Dopo Expo, determineranno la Città Metropolitana e l’area metropolitana più vasta.
Per due volte il Consiglio Comunale uscente ha bocciato la delibera che le assegnava come asset per la valorizzazione della discesa in borsa delle FS. Una questione che non ha interessato il confronto elettorale, eppure determinante per il futuro della funzione e della identità di Milano, quindi della qualità del vivere sociale per i suoi cittadini. La Lombardia, con le sue città e l’area metropolitana milanese, non ancora divenuta Città Metropolitana, potrà guidare l’Italia nel processo di costruzione dell’Europa politica se saprà definirsi come laboratorio per un Progetto di Qualità del vivere urbano e per essere protagonista nella competizione globale basata su ricerca, innovazione e qualità dei servizi, delle infrastrutture, dell’amministrazione, dell’ambiente, del paesaggio, della produzione e dell’offerta culturale, del vivere sociale.
Non si tratta di risultare più funzionali di Formigoni e di Maroni per realizzare opere come la BREBEMI o la nuova inutile tangenziale esterna nel sud ovest milanese, si tratta di essere capaci di uno sguardo nuovo e partecipato, coerente con le indicazioni della COP21 di Parigi.
A Milano e nella Città Metropolitana è diffusa un’opinione pubblica avvertita, per nulla regressiva, che quando ha potuto si è espressa con chiarezza e che, su una questione di questa portata strategica, lo farà ancora laddove una rete trasversale interessata al bene comune sarà capace di attivarsi oltre l’autoreferenzialità.