domenica 17 giugno 2018
Compiti, insegnanti, genitori e studenti
Addirittura un articolo per plaudire a due insegnanti che non hanno assegnato i compiti delle vacanze estive. Un esempio di lassismo, la scuola che viene meno al suo ruolo adulto e alla sua funzione e gli incolti che applaudono. Invece di svolgere il loro compito trovando chiavi motivanti per l'apprendimento, con le loro motivazioni queste insegnanti preferiscono lisciare il pelo all'ignoranza diffusa dell'omologazione consumistica, ai genitori che rinunciano al loro ruolo adulto perché richiede impegno e costa fatica. In quest'ottica studenti e genitori sarebbero "clienti" della scuola, invece che cittadini con il pieno diritto e anche il dovere di impadronirsi degli strumenti del sapere per esercitare la responsabilità di una cittadinanza attiva. Compito di chi educa non è quello di rimuovere gli ostacoli, ma di aiutare a superarli. Lo studio è fatica perche quella fatica aiuta a crescere, a misurarsi, ad essere consapevoli di sé. Cosa c'entrano i genitori che devono riposare? I compiti devono essere per gli studenti e svolti da loro, non dai genitori che si sostituiscono ai figli, magari all'ultimo momento, proprio per evitare loro quella fatica che è produttiva perché aiuta a responsabilizzarsi. "Non diamo compiti per evitare incubi": associare il compito all'incubo è gravissimo se lo fa un insegnante, perché comunica ai piccoli l'idea che il compito scolastico sia qualcosa da evitare, una punizione, e non un'occasione di emancipazione. I ricchi, i colti, le classi dominanti i compiti li fanno perché sanno che il loro potere passa dal sapere, infatti mandano i figli in college e università italiane o estere dove le aspettative sono molto alte e le pratiche altamente selettive. Si parli piuttosto delle caratteristiche dei compiti: equilibrati, commisurati alle capacità degli studenti, legati alla loro esperienza, pensati per essere svolti in autonomia, in giusta misura, magari meno esercizi e più romanzi da leggere.
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Mi domando, chi sono gli incolti? Coloro che, animati da una insana demagogia di parte, hanno voglia di puntare il dito a prescindere? O coloro che applicano con coscienza, serietà e professionalità principi di pura e semplice educazione scolastica? Mi domando se sono incolti coloro che puntano alla formazione soddisfacente o coloro che rinnegano, per il solo scopo di farlo e fine a se stesso, il valore educativo e premiale della scuola (a tutti i livelli). Chi parlando delle maestre (lavoratrici) le definisce “lassiste”, con enfasi tipica di chi (spesso senza ragione) deve solo demonizzare l’avversario, utilizza una argomentazione e un modo espressivo, non solo obsoleto (da prima repubblica) ma intriso esclusivamente di considerazioni solo di parte… (e la ragione si nota), e dimentica che uno dei valori della scuola è proprio il riconoscimento del livello di premialità. Non è forse compito della scuola (istituzione) premiare i ragazzi per il loro impegno durante gli anni di studio e far comprendere anche che la scuola sa apprezzare gli sforzi compiuti? Se un bambino durante un anno scolastico è riuscito a dare il meglio di sé raggiungendo un obiettivo educativo eccellente, il miglior modo (pedagogicamente parlando) per premiarlo e fargli apprezzare il valore dello sforzo compiuto è proprio quello di fargli assaporare un momento di “libertà” (valore questo sempre più dimenticato) da obblighi formali e lasciare aperta la strada della libera scelta ben sapendo che in tal caso la scuola, per il bambino, diventa un luogo dove si impara con consapevolezza e allegria. I compiti non sono un incubo ma a volte, possono essere vissuti come preoccupazione in quanto vanno fatti a tutti i costi e senza la necessaria volontà e applicazione.
RispondiEliminaLasciarsi andare a sentenze non conoscendo neanche le dinamiche che hanno originato la nostra decisione è dimostrazione di arrogante ignoranza.
Riporto un pensiero del prof. Italo Farnetani pediatra di fama internazionale, ordinario alla Libera Università LUDES di Malta “I compiti sono un controsenso psico-pedagogico e medico. Il bambino ha studiato tutto l’anno e si deve riposare e l’arrivo del caldo sottopone ad un ulteriore stress l’organismo. Inoltre stare sui libri durante l’estate è diseducativo perchè i bambini sono svogliati e perdono la grinta”
Ah dimenticavo…sono una delle due insegnanti….definite lassiste
Gentile Signora Bruni,
Eliminaapprezzo che scrivendo qui che "i compiti non sono un incubo" lei smentisce quanto le viene attribuito nell'articolo, infatti i compiti non devono essere né un incubo, né un motivo di ansia, se lo sono forse l'insegnante e i genitori dovrebbero farsi qualche domanda. I compiti sono uno strumento per tenere in esercizio la mente. Svolgere dei compiti, misurati, calibrati, finalizzati, non esclude la possibilità di vivere esperienze ludiche, ricreative, conoscitive. Criticare in modo argomentato la sua scelta, soprattutto la sua assunzione a modello vista la visibilità che ha scelto di darle, significa "demonizzare l'avversario" utilizzando "un modo obsoleto da prima repubblica?" Di cosa sta parlando? Spero si renda conto che in particolare la seconda è un'espressione priva di senso... Il "modo" della seconda repubblica quale sarebbe? E quello della terza? La prego di illuminarmi con un'argomentazione invece di ricorrere alla citazione di quanto asserito da un pediatra (la cui fama internazionale francamente mi è oscura). Ci sono pedagogisti, e non pediatri, che argomentano pro o contro i compiti, ma anche chi è contro non ricorre certo alle categorie dell'incubo o dell'ansia, categorie che attengono più al sentire di alcuni genitori e infatti nella vostra comunicazione, stando all'articolo, parlate di loro. Questi genitori dovrebbero invece assumere la responsabilità dell'esercizio del proprio ruolo. Non si capisce perché un po' di esercizio estivo dovrebbe impedire di vivere esperienze piacevoli con la propria famiglia o avere del tempo libero. Ho moglie e sorella insegnanti, mi raccontano che molti loro alunni trascorrono il tempo libero davanti a schermi di varia natura e le loro esperienze si esauriscono prevalentemente nel virtuale e nei centri commerciali. Credo comunque, visto il tenore di alcune risposte, di aver messo il dito nella piaga, leggo molte code di paglia, che ricorrono all'insulto gratuito o si sentono offesi dalla mia presunta maleducazione solo perché si sentono richiamati a svolgere quella che ritengo essere una funzione adulta. Quando io parlo di lassismo mi riferisco alla fatica sia del docente che del genitore perché, mi spiace per lei, la scuola non deve avere una funzione "premiale" se per "premio" si intende la dismissione di una disciplina mentale e culturale, che è quella che ci fa leggere i libri, porci domande e trovare le risposte, esprimerci oltre i 140 caratteri di Twitter, quella che ci abitua ad argomentare senza ricorrere a frasi fatte prive di senso. Tutto questo in un contesto in cui è richiesto, oggi più che mai visto che il digitale sta modificando non solo i modi dell'apprendimento, ma i meccanismi e le strutture cognitive (se le interessa esiste un'ampia letteratura sull'argomento), di non affidare alla calcolabilità degli algoritmi la capacità di riflessione e di scelta. Quella della "premialità" nel senso da lei indicato non è né una categoria pedagogica, né pediatrica (sa, qualcosa so anch'io, mi onoro di essere stato allievo del prof. Massa, insigne pedagogista della Statale di Milano), il guadagno, se di questo vogliamo parlare, è il piacere di riuscire a capire e di essere in grado di affrontare criticamente situazioni nuove. Per farlo occorre anche imparare a fare fatica e la fatica dell'impegno non dev'essere né incubo, né ansia, ma una sfida che si inscrive in un percorso di crescita.