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giovedì 11 febbraio 2010

Internet, conoscenza e pace

Internet,

conoscenza e pace

Riprendiamo un tema lanciato sul numero di fine 2009 del nostro giornale,

la candidatura di Internet aL Nobel per la pace, per approfondire il tema del web

come strumento di conoscenza collettiva. Base fondamentale per qualunque

tipo di comunicazione. Dialogo con Fiorello Cortiana, Goodwill Ambassador

di Olpc, e Nicholas Negroponte, che con il progetto laptop del MIT si batte per

garantire ai bambini di tutto il mondo opportunità di apprendimento in Rete

FIORELLO CORTIANA

il caso

10 / n.04 del 12.02.2010 www.pubblicitaitalia.it

di Piero Babudro

Forse in futuro Wired Italia sarà ricordato

come il fautore dello storico Premio Nobel

per la pace a Internet (vedi l’articolo

pubblicato al lancio dell’iniziativa sull’ultimo

numero del 2009 del nostro giornale).

Come il soggetto che, più di altri, ha

combattuto e lottato per far riconoscere

alla rete delle reti quel ruolo che si merita

e, per certi versi, le spetta di diritto. Oppure,

nella peggiore delle ipotesi, parleremo

del mensile tecnologico come della realtà

che fino all’ultimo ci ha fatto accarezzare

il sogno collettivo di vedere il Tcp/Ip paragonato

nientemeno che a Martin Luther

King, Al Gore o al Dalai Lama Tenzin Gyatso.

Comunque vada, e qualunque sia la

nostra opinione in merito all’iniziativa

‘Internet For Peace’, ricorderemo questo

2010 come di un momento storico per

la rete e per le intelligenze collettive che

ha saputo muovere. E non ci farà storcere

il naso più di tanto vedere il Web messo

sullo stesso piano della Croce Rossa o di

Amnesty International.

Sì perché tralasciando le polemiche della

vigilia sull’opportunità di candidare

a un così importante riconoscimento

quello che, in fondo, resta uno strumento

neutro e alieno da implicazioni

morali, il dato fondamentale è che oggi

qualcosa sta cambiando. Accantoniamo

per un momento le aziende, italiane e

non, che approfittano della proposta di

Wired Italia per affiancare (o colorare di)

impegno sociale a quello che è e resta,

comunque, un business: il solo fatto che

l’idea di Internet For Peace provenga dall’Italia

è di per sé importante. Siamo un

paese mediatico, e non da oggi. Attorno

ai media si è articolato un sistema sociale

e politico. Settant’anni fa il cinema era

‘l’arma più forte’. Poi, dall’italiano di Mike

Bongiorno alla lottizzazione, dalle tv private

al duopolio, attorno ai mezzi di comunicazione

di massa si è giocata una

battaglia fondamentale per modellare

questo paese. Oggi la sfida si è spostata

dal tubo catodico al doppino telefonico:

da un lato c’è un gruppo trasversale

che spinge per una maggiore diffusione

della banda larga, che difende i diritti

dei consumatori, che lotta per le libertà

digitali. Dall’altro, scelte politiche e

programmi accusati, nella migliore delle

ipotesi, di poca lungimiranza.

Intanto, in questo 2010 a corrente alternata,

accade di tutto. Mentre Riccardo

Luna (direttore di Wired Italia), incassato

il placet di 160 parlamentari, si reca a

Oslo a presentare la candidatura di Internet,

il parlamento sta vagliando - complice

il Decreto Romani - un immenso

filtro ex-ante ai contenuti pubblicati sul

Web. Un provvedimento contro il quale

si sono pronunciati, tra gli altri, l’Agcom

- che lo ha definito “inefficace” e atipico

per un paese occidentale - e alcuni deputati

della stessa maggioranza, i quali

ne hanno auspicato una profonda revisione.

Di fronte a tutto ciò, ci si chiede

NICHOLAS NEGROPONTE

cosa rappresenti Internet oggi. La panacea

di tutti i problemi sociali, cognitivi,

ambientali, oppure l’Impero del Male?

Un driver per la crescita economica e

culturale, come sostengono gli imprenditori,

o una valvola di sfogo per il nostro

tempo libero?

“Credo che la produzione di valore

nel contesto post materiale - spiega

a Pubblicità Italia Fiorello Cortiana,

Goodwill Ambassador di Olpc, il progetto

laptop del MIT che si batte per

garantire ai bambini di tutto il mondo

opportunità di apprendimento in Rete

- sia strettamente legata al sistema relazionale

interattivo costituito dalla Rete.

Occorre innanzitutto riconoscerla come

‘impresa cognitiva collettiva’, come il più

grande ‘spazio pubblico’ mai conosciuto

e non come un supporto informativo/

comunicativo che succede al telegrafo,

al telefono, alla radio, al televisore e ai

computer. Questa consapevolezza del

cambiamento indurrebbe a pensare alle

politiche pubbliche per le infrastrutture

digitali, per il welfare e per la formazione

in altri termini e con un metodo aperto

di coinvolgimento di tutti gli ‘stakeholder’

interessati.”

Modelli da ribaltare

“Il Web è due cose allo stesso tempo

- precisa Nicholas Negroponte, fondatore

del prestigioso MediaLab di Boston,

durante un breve scambio che abbiamo

avuto con lui nelle scorse settimane -.

Conoscenza strutturata e un insieme di

punti di vista molteplici su quella conoscenza.

Questo secondo aspetto è il più

importante. A scuola ci viene detto che

esiste un unico punto di vista, quello

giusto. Che si tratti di Storia, Linguaggio

o scienze comportamentali, le verità

sono molteplici, e a volte possono quasi

contraddirsi. Quello che il Web consente

è l’espressione di questa molteplicità,

lungo tutti gli assi e le prospettive disponibili,

non solo Est/Ovest, Nord/Sud,

Cristiano/Musulmano”.

L’eventuale assegnazione a Internet del

Premio Nobel per la pace, oltre a costituire

un prestigioso quanto teorico riconoscimento,

potrebbe avere importanti

ripercussioni sul piano pratico, secondo

Negroponte. “La prima conseguenza

sarebbe un cambiamento nei modelli

di pensiero. La pace è comunicazione.

La pace è educazione. La pace è capire

il mondo in modo globale. I bambini

sono globali, gli adulti no. Oggi prendiamo

bambini globali e li trasformiamo in

cittadini dalla mentalità ristretta. Questo

modello verrebbe ribaltato”.

Tornando al nostro paese, ci ritorna in

mente la tremenda dicotomia tra chi

(mass media, aziende, esperti e professionisti)

parla di Internet in termini

enfatici e chi (certa politica) continua a

rifiutare ogni dialogo con le moltitudini

della società della conoscenza. Uno

strappo che non ha mancato di generare

una certa insofferenza.

“L’Italia non ha una politica pubblica per

l’innovazione nella Società della Conoscenza

- continua Cortiana -. Tutti i portatori

di interesse legati alla dimensione

‘analogica’ cercano di produrre per via

normativa e tecnologica una scarsità e

un controllo che l’immaterialità digitale

e la disintermediazione della Rete di per

sé hanno superato. Quindi il Premier riduce

la Rete e coloro che offrono servizi

su di essa a una dimensione televisiva,

con direttori responsabili dei palinsesti,

laddove invece dei telespettatori abbiamo

dei ‘prosumer’, che contribuiscono

alla creazione di contenuti e non solo

di share. Quindi l’’incumbent’ nazionale

conserva gelosamente il controllo dell’infrastruttura

digitale invece di condividere

e creare una rete con tutti coloro,

pubblici e privati, che dispongono di

fibra o di cavidotti. Alla faccia del ‘Rapporto

Caio’ sulla Banda Larga. Il nostro

Paese corre il rischio di andare in franchising

sulla creatività, cosa che per gli

italiani costituirebbe, oltre che un danno,

anche una beffa”.

Problemi di ordine economico, mancati

investimenti: ma anche precise scelte

strategiche da parte degli operatori, che

non investono in zone montuose o scarsamente

popolate. Manca anche l’aiuto

pubblico: spesso le istituzioni hanno tirato

in ballo la complessa morfologia della

Penisola per spiegare i ‘buchi’ nella diffusione

dell’Adsl in Italia. Poi basta guardare

a quanto accade negli altri paesi d’Europa

- dove anche zone relativamente remote

sono raggiunte dal segnale - per rendersi

conto che qualcosa non quadra.

“Il vero problema - spiega ancora Cortiana

- riguarda l’ignoranza digitale

del decisore pubblico, che impedisce

di riconosce l’accesso alla Rete come

un’esigenza fondamentale per il Paese

e i suoi cittadini, tanto sotto il profilo

economico quanto sotto quello della

partecipazione pubblica informata, garantito

dalla Costituzione. Se non foswww.

pubblicitaitalia.it n.04 del 12.02.2010 / 11

il caso

se così, a partire dal ‘Rapporto Caio’, il

Governo avrebbe interessato il Paese e

il Parlamento attraverso gli Stati Generali

della Conoscenza. Avrebbe posto

la questione dell’accesso distribuito e

della infrastruttura relativa attraverso la

creazione di una Public company, partecipata

dall’incumbent e da tutte le realtà

pubbliche e private creando così condizioni

non discriminatorie e l’effettiva

neutralità della rete per tutti i produttori

di servizi ‘retail’. Creando altresì le condizioni

per il raggiungimento della dorsale

appenninica, dell’arco alpino e di tutte

quelle zone che i privati, per quanto

grandi, non giudicano profittevoli.”

Il problema, poi, non si esaurisce in considerazioni

relative al mondo politico o

economico. Mentre l’Italia resta confinata

tra le ultime nazioni europee quanto

a diffusione e penetrazione della broadband,

il mancato sostegno pubblico allo

sviluppo investe il campo sociale e della

formazione, con conseguenze che il nostro

paese continuerà a scontare tra una

decina di anni, quando forse sarà troppo

tardi per sperare in qualsiasi tipo di recupero.

Si prenda ad esempio il mondo

della scuola, che in teoria avrebbe dovuto

fare di Internet uno dei suoi tre pilastri.

“Non c’è nulla di sistematico che veda

sul tavolo di ogni studente un lap top

connesso per interagire con il potenziale

di conoscenza della Rete attraverso il

supporto, gli strumenti formativi e la relazione

comune di apprendimento con

il docente - chiude Cortiana -. Il danno è

evidente sia sotto il profilo dell’apprendimento

dei fondamentali digitali che, ed è

peggio, sotto il profilo di una cultura che

attraverso griglie critiche consenta un

uso consapevole della Rete, delle sue potenzialità

e delle sue opportunità.”

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