Internet,
conoscenza e pace
Riprendiamo un tema lanciato sul numero di fine 2009 del nostro giornale,
la candidatura di Internet aL Nobel per la pace, per approfondire il tema del web
come strumento di conoscenza collettiva. Base fondamentale per qualunque
tipo di comunicazione. Dialogo con Fiorello Cortiana, Goodwill Ambassador
di Olpc, e Nicholas Negroponte, che con il progetto laptop del MIT si batte per
garantire ai bambini di tutto il mondo opportunità di apprendimento in Rete
FIORELLO CORTIANA
il caso
10 / n.04 del 12.02.2010 www.pubblicitaitalia.it
di Piero Babudro
Forse in futuro Wired Italia sarà ricordato
come il fautore dello storico Premio Nobel
per la pace a Internet (vedi l’articolo
pubblicato al lancio dell’iniziativa sull’ultimo
numero del 2009 del nostro giornale).
Come il soggetto che, più di altri, ha
combattuto e lottato per far riconoscere
alla rete delle reti quel ruolo che si merita
e, per certi versi, le spetta di diritto. Oppure,
nella peggiore delle ipotesi, parleremo
del mensile tecnologico come della realtà
che fino all’ultimo ci ha fatto accarezzare
il sogno collettivo di vedere il Tcp/Ip paragonato
nientemeno che a Martin Luther
King, Al Gore o al Dalai Lama Tenzin Gyatso.
Comunque vada, e qualunque sia la
nostra opinione in merito all’iniziativa
‘Internet For Peace’, ricorderemo questo
2010 come di un momento storico per
la rete e per le intelligenze collettive che
ha saputo muovere. E non ci farà storcere
il naso più di tanto vedere il Web messo
sullo stesso piano della Croce Rossa o di
Amnesty International.
Sì perché tralasciando le polemiche della
vigilia sull’opportunità di candidare
a un così importante riconoscimento
quello che, in fondo, resta uno strumento
neutro e alieno da implicazioni
morali, il dato fondamentale è che oggi
qualcosa sta cambiando. Accantoniamo
per un momento le aziende, italiane e
non, che approfittano della proposta di
Wired Italia per affiancare (o colorare di)
impegno sociale a quello che è e resta,
comunque, un business: il solo fatto che
l’idea di Internet For Peace provenga dall’Italia
è di per sé importante. Siamo un
paese mediatico, e non da oggi. Attorno
ai media si è articolato un sistema sociale
e politico. Settant’anni fa il cinema era
‘l’arma più forte’. Poi, dall’italiano di Mike
Bongiorno alla lottizzazione, dalle tv private
al duopolio, attorno ai mezzi di comunicazione
di massa si è giocata una
battaglia fondamentale per modellare
questo paese. Oggi la sfida si è spostata
dal tubo catodico al doppino telefonico:
da un lato c’è un gruppo trasversale
che spinge per una maggiore diffusione
della banda larga, che difende i diritti
dei consumatori, che lotta per le libertà
digitali. Dall’altro, scelte politiche e
programmi accusati, nella migliore delle
ipotesi, di poca lungimiranza.
Intanto, in questo 2010 a corrente alternata,
accade di tutto. Mentre Riccardo
Luna (direttore di Wired Italia), incassato
il placet di 160 parlamentari, si reca a
Oslo a presentare la candidatura di Internet,
il parlamento sta vagliando - complice
il Decreto Romani - un immenso
filtro ex-ante ai contenuti pubblicati sul
Web. Un provvedimento contro il quale
si sono pronunciati, tra gli altri, l’Agcom
- che lo ha definito “inefficace” e atipico
per un paese occidentale - e alcuni deputati
della stessa maggioranza, i quali
ne hanno auspicato una profonda revisione.
Di fronte a tutto ciò, ci si chiede
NICHOLAS NEGROPONTE
cosa rappresenti Internet oggi. La panacea
di tutti i problemi sociali, cognitivi,
ambientali, oppure l’Impero del Male?
Un driver per la crescita economica e
culturale, come sostengono gli imprenditori,
o una valvola di sfogo per il nostro
tempo libero?
“Credo che la produzione di valore
nel contesto post materiale - spiega
a Pubblicità Italia Fiorello Cortiana,
Goodwill Ambassador di Olpc, il progetto
laptop del MIT che si batte per
garantire ai bambini di tutto il mondo
opportunità di apprendimento in Rete
- sia strettamente legata al sistema relazionale
interattivo costituito dalla Rete.
Occorre innanzitutto riconoscerla come
‘impresa cognitiva collettiva’, come il più
grande ‘spazio pubblico’ mai conosciuto
e non come un supporto informativo/
comunicativo che succede al telegrafo,
al telefono, alla radio, al televisore e ai
computer. Questa consapevolezza del
cambiamento indurrebbe a pensare alle
politiche pubbliche per le infrastrutture
digitali, per il welfare e per la formazione
in altri termini e con un metodo aperto
di coinvolgimento di tutti gli ‘stakeholder’
interessati.”
Modelli da ribaltare
“Il Web è due cose allo stesso tempo
- precisa Nicholas Negroponte, fondatore
del prestigioso MediaLab di Boston,
durante un breve scambio che abbiamo
avuto con lui nelle scorse settimane -.
Conoscenza strutturata e un insieme di
punti di vista molteplici su quella conoscenza.
Questo secondo aspetto è il più
importante. A scuola ci viene detto che
esiste un unico punto di vista, quello
giusto. Che si tratti di Storia, Linguaggio
o scienze comportamentali, le verità
sono molteplici, e a volte possono quasi
contraddirsi. Quello che il Web consente
è l’espressione di questa molteplicità,
lungo tutti gli assi e le prospettive disponibili,
non solo Est/Ovest, Nord/Sud,
Cristiano/Musulmano”.
L’eventuale assegnazione a Internet del
Premio Nobel per la pace, oltre a costituire
un prestigioso quanto teorico riconoscimento,
potrebbe avere importanti
ripercussioni sul piano pratico, secondo
Negroponte. “La prima conseguenza
sarebbe un cambiamento nei modelli
di pensiero. La pace è comunicazione.
La pace è educazione. La pace è capire
il mondo in modo globale. I bambini
sono globali, gli adulti no. Oggi prendiamo
bambini globali e li trasformiamo in
cittadini dalla mentalità ristretta. Questo
modello verrebbe ribaltato”.
Tornando al nostro paese, ci ritorna in
mente la tremenda dicotomia tra chi
(mass media, aziende, esperti e professionisti)
parla di Internet in termini
enfatici e chi (certa politica) continua a
rifiutare ogni dialogo con le moltitudini
della società della conoscenza. Uno
strappo che non ha mancato di generare
una certa insofferenza.
“L’Italia non ha una politica pubblica per
l’innovazione nella Società della Conoscenza
- continua Cortiana -. Tutti i portatori
di interesse legati alla dimensione
‘analogica’ cercano di produrre per via
normativa e tecnologica una scarsità e
un controllo che l’immaterialità digitale
e la disintermediazione della Rete di per
sé hanno superato. Quindi il Premier riduce
la Rete e coloro che offrono servizi
su di essa a una dimensione televisiva,
con direttori responsabili dei palinsesti,
laddove invece dei telespettatori abbiamo
dei ‘prosumer’, che contribuiscono
alla creazione di contenuti e non solo
di share. Quindi l’’incumbent’ nazionale
conserva gelosamente il controllo dell’infrastruttura
digitale invece di condividere
e creare una rete con tutti coloro,
pubblici e privati, che dispongono di
fibra o di cavidotti. Alla faccia del ‘Rapporto
Caio’ sulla Banda Larga. Il nostro
Paese corre il rischio di andare in franchising
sulla creatività, cosa che per gli
italiani costituirebbe, oltre che un danno,
anche una beffa”.
Problemi di ordine economico, mancati
investimenti: ma anche precise scelte
strategiche da parte degli operatori, che
non investono in zone montuose o scarsamente
popolate. Manca anche l’aiuto
pubblico: spesso le istituzioni hanno tirato
in ballo la complessa morfologia della
Penisola per spiegare i ‘buchi’ nella diffusione
dell’Adsl in Italia. Poi basta guardare
a quanto accade negli altri paesi d’Europa
- dove anche zone relativamente remote
sono raggiunte dal segnale - per rendersi
conto che qualcosa non quadra.
“Il vero problema - spiega ancora Cortiana
- riguarda l’ignoranza digitale
del decisore pubblico, che impedisce
di riconosce l’accesso alla Rete come
un’esigenza fondamentale per il Paese
e i suoi cittadini, tanto sotto il profilo
economico quanto sotto quello della
partecipazione pubblica informata, garantito
dalla Costituzione. Se non foswww.
pubblicitaitalia.it n.04 del 12.02.2010 / 11
il caso
se così, a partire dal ‘Rapporto Caio’, il
Governo avrebbe interessato il Paese e
il Parlamento attraverso gli Stati Generali
della Conoscenza. Avrebbe posto
la questione dell’accesso distribuito e
della infrastruttura relativa attraverso la
creazione di una Public company, partecipata
dall’incumbent e da tutte le realtà
pubbliche e private creando così condizioni
non discriminatorie e l’effettiva
neutralità della rete per tutti i produttori
di servizi ‘retail’. Creando altresì le condizioni
per il raggiungimento della dorsale
appenninica, dell’arco alpino e di tutte
quelle zone che i privati, per quanto
grandi, non giudicano profittevoli.”
Il problema, poi, non si esaurisce in considerazioni
relative al mondo politico o
economico. Mentre l’Italia resta confinata
tra le ultime nazioni europee quanto
a diffusione e penetrazione della broadband,
il mancato sostegno pubblico allo
sviluppo investe il campo sociale e della
formazione, con conseguenze che il nostro
paese continuerà a scontare tra una
decina di anni, quando forse sarà troppo
tardi per sperare in qualsiasi tipo di recupero.
Si prenda ad esempio il mondo
della scuola, che in teoria avrebbe dovuto
fare di Internet uno dei suoi tre pilastri.
“Non c’è nulla di sistematico che veda
sul tavolo di ogni studente un lap top
connesso per interagire con il potenziale
di conoscenza della Rete attraverso il
supporto, gli strumenti formativi e la relazione
comune di apprendimento con
il docente - chiude Cortiana -. Il danno è
evidente sia sotto il profilo dell’apprendimento
dei fondamentali digitali che, ed è
peggio, sotto il profilo di una cultura che
attraverso griglie critiche consenta un
uso consapevole della Rete, delle sue potenzialità
e delle sue opportunità.”
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