L'Accordo di programma relativo all’impiego e alla
destinazione delle aree degli ex-Scali ferroviari milanesi di oltre 1.250.000
mq sui 4 mln in Italia, è fonte di sconcerto per tutti coloro che hanno a cuore
la salvaguardia dei beni comuni la tutela degli interessi della collettività.
Un Accordo di programma, che interessa Milano e i 133 Comuni della Città Metropolitana, in violazione della normativa vigente, vede la presenza di un Fondo di investimento estero, scelto altresì senza alcuna evidenza pubblica, mentre non ne fa parte la Città Metropolitana milanese, in relazione radiale con la città di Milano, con la quale dovrebbe collaborare per i problemi complessi che la caratterizzano.
Dopo esserci costituiti come associazione e aver tentato, invano, di esporre le nostre ragioni nell'Udienza Pubblica attivata in Consiglio Comunale e con una lettera aperta, senza risposta, firmata da decine di professionisti e accademici, a Sindaco e Presidente Regionale, siamo stati costretti ad esprimere il nostro dissenso nell’unico modo consentito dalla legge: due ricorsi davanti al Tribunale amministrativo della Lombardia e una serie di denunce e di esposti presentati alle diverse Autorità competenti.
Azioni difensive per prevenire e contrastare il verificarsi di danni certi e molto gravi, ma il nostro intendimento, come esponenti della cittadinanza attiva, è quello di offrire la nostra collaborazione per risolvere in modo razionale ed equilibrato gli importanti problemi che riguardano la città di Milano. Per questo abbiamo dato appuntamento ai cittadini, alla giunta e ai consiglieri, in un incontro affollato tenutosi a Palazzo Marino il 3 luglio, ospiti della Presidente della Commissione Partecipazione.
Come sperimentato in altri Paesi europei, la riqualificazione degli ex Scali ferroviari milanesi non deve costituire solo un progetto urbanistico o di valorizzazione immobiliare, si calcolano 2,5 miliardi per soli 50 milioni per il Comune, ma deve rappresentare soprattutto un’occasione per contribuire a disegnare una strategia di sviluppo economico e sociale offrendo una risposta innovativa ai nuovi bisogni quantitativi e qualitativi dei cittadini di Milano, della città metropolitana e dell’intera Regione Lombardia.
Per questo il progetto non può che essere di iniziativa pubblica e sottoposto a metodi di evidenza pubblica. Se, infatti, il perseguimento esclusivo di un interesse particolare (quello della proprietà) può portare alla contaminazione e financo alla distruzione del territorio nel suo insieme, l’assunzione di un punto di vista di interesse pubblico mira a individuare una sintesi, capace di supportare sia la funzione di regolazione diretta (command and control) che quella di impulso e direzione dello sviluppo.
Il che esige una forte regia pubblica, spinta da un’idea condivisa di sviluppo del territorio e delle sue potenzialità (economiche, culturali, ambientali, turistiche, etc.) e la messa in campo di tutto lo strumentario sperimentato e collaudato anche all’estero negli ultimi 50 anni per i grandi interventi di riqualificazione e rilancio delle città e dei territori.
Le aree ferroviarie, parte del demanio ferroviario e statale, sono state espropriate e acquisite dallo Stato per motivi di pubblica utilità. Se ora non sono più funzionali allo scopo per il quale sono state espropriate, vanno restituite allo Stato che provvederà ad una loro nuova destinazione e ad una nuova funzione, come è avvenuto per il demanio militare e penitenziario, con il trasferimento dei beni ai Comuni, alle Province e alle Regioni.
Di fatto, le aree ex ferroviarie sono un “bene comune”, che ha un elevato valore economico in una prospettiva di medio periodo per il sistema economico-sociale-territoriale della città e della regione, diverso dal valore di bilancio, che un “bene privato” potrebbe avere nell’immediato per il rispettivo proprietario.
La riqualificazione delle aree ferroviarie abbandonate deve quindi mirare a creare “valore aggiunto” per i cittadini e non “valore finanziario” per gli azionisti che formalmente le posseggono.
Diversamente da quanto auspicato, l’Accordo di programma persegue un obiettivo che rappresenta una privatizzazione surrettizia di un bene pubblico da parte di un’impresa privata.
L'associazione Lombardia Sostenibile, parte della società civile, ha proposto il modello della partecipazione informata analogo al débat publique francese e una consultazione popolare dei cittadini nei Municipi delle singole aree interessate “seria”, cioè correttamente informata e capace di riflettersi sulle scelte dell’amministrazione. La fretta è stata però cattiva consigliera con un metodo di intervento a “mano libera sulla città” estraneo alle tradizioni civiche milanesi, in contrasto con il principio della concorrenza e della partecipazione democratica, dato che impedisce l’attività di molti altri operatori privati e non assicura la partecipazione dei cittadini nella definizione della strategia generale di sviluppo e delle scelte operative, urbanistiche e industriali, nelle singole aree che di fatto verrebbero lasciate alle decisioni di un’impresa privata. Che infatti le ha accennate nella presentazione del Masterplan a Palazzo Marino, con il Consiglio Comunale esautorato dopo l'approvazione dell'ADP.
Non c’è un solo caso di città europea che abbia adottato il modello milanese dell’Accordo di programma, secondo il quale chi conduce l’operazione è, in effetti, una società controllata da FS. In nome di chi? In sostituzione di chi? Nell’interesse di chi?
A metà del secolo il 70% della popolazione mondiale vivrà in centri urbani.
Le informazioni unilaterali possono essere proposte come un processo partecipato di confronto adeguato alla straordinaria sfida e opportunità di rigenerazione degli ex scali?
Un Accordo di programma, che interessa Milano e i 133 Comuni della Città Metropolitana, in violazione della normativa vigente, vede la presenza di un Fondo di investimento estero, scelto altresì senza alcuna evidenza pubblica, mentre non ne fa parte la Città Metropolitana milanese, in relazione radiale con la città di Milano, con la quale dovrebbe collaborare per i problemi complessi che la caratterizzano.
Dopo esserci costituiti come associazione e aver tentato, invano, di esporre le nostre ragioni nell'Udienza Pubblica attivata in Consiglio Comunale e con una lettera aperta, senza risposta, firmata da decine di professionisti e accademici, a Sindaco e Presidente Regionale, siamo stati costretti ad esprimere il nostro dissenso nell’unico modo consentito dalla legge: due ricorsi davanti al Tribunale amministrativo della Lombardia e una serie di denunce e di esposti presentati alle diverse Autorità competenti.
Azioni difensive per prevenire e contrastare il verificarsi di danni certi e molto gravi, ma il nostro intendimento, come esponenti della cittadinanza attiva, è quello di offrire la nostra collaborazione per risolvere in modo razionale ed equilibrato gli importanti problemi che riguardano la città di Milano. Per questo abbiamo dato appuntamento ai cittadini, alla giunta e ai consiglieri, in un incontro affollato tenutosi a Palazzo Marino il 3 luglio, ospiti della Presidente della Commissione Partecipazione.
Come sperimentato in altri Paesi europei, la riqualificazione degli ex Scali ferroviari milanesi non deve costituire solo un progetto urbanistico o di valorizzazione immobiliare, si calcolano 2,5 miliardi per soli 50 milioni per il Comune, ma deve rappresentare soprattutto un’occasione per contribuire a disegnare una strategia di sviluppo economico e sociale offrendo una risposta innovativa ai nuovi bisogni quantitativi e qualitativi dei cittadini di Milano, della città metropolitana e dell’intera Regione Lombardia.
Per questo il progetto non può che essere di iniziativa pubblica e sottoposto a metodi di evidenza pubblica. Se, infatti, il perseguimento esclusivo di un interesse particolare (quello della proprietà) può portare alla contaminazione e financo alla distruzione del territorio nel suo insieme, l’assunzione di un punto di vista di interesse pubblico mira a individuare una sintesi, capace di supportare sia la funzione di regolazione diretta (command and control) che quella di impulso e direzione dello sviluppo.
Il che esige una forte regia pubblica, spinta da un’idea condivisa di sviluppo del territorio e delle sue potenzialità (economiche, culturali, ambientali, turistiche, etc.) e la messa in campo di tutto lo strumentario sperimentato e collaudato anche all’estero negli ultimi 50 anni per i grandi interventi di riqualificazione e rilancio delle città e dei territori.
Le aree ferroviarie, parte del demanio ferroviario e statale, sono state espropriate e acquisite dallo Stato per motivi di pubblica utilità. Se ora non sono più funzionali allo scopo per il quale sono state espropriate, vanno restituite allo Stato che provvederà ad una loro nuova destinazione e ad una nuova funzione, come è avvenuto per il demanio militare e penitenziario, con il trasferimento dei beni ai Comuni, alle Province e alle Regioni.
Di fatto, le aree ex ferroviarie sono un “bene comune”, che ha un elevato valore economico in una prospettiva di medio periodo per il sistema economico-sociale-territoriale della città e della regione, diverso dal valore di bilancio, che un “bene privato” potrebbe avere nell’immediato per il rispettivo proprietario.
La riqualificazione delle aree ferroviarie abbandonate deve quindi mirare a creare “valore aggiunto” per i cittadini e non “valore finanziario” per gli azionisti che formalmente le posseggono.
Diversamente da quanto auspicato, l’Accordo di programma persegue un obiettivo che rappresenta una privatizzazione surrettizia di un bene pubblico da parte di un’impresa privata.
L'associazione Lombardia Sostenibile, parte della società civile, ha proposto il modello della partecipazione informata analogo al débat publique francese e una consultazione popolare dei cittadini nei Municipi delle singole aree interessate “seria”, cioè correttamente informata e capace di riflettersi sulle scelte dell’amministrazione. La fretta è stata però cattiva consigliera con un metodo di intervento a “mano libera sulla città” estraneo alle tradizioni civiche milanesi, in contrasto con il principio della concorrenza e della partecipazione democratica, dato che impedisce l’attività di molti altri operatori privati e non assicura la partecipazione dei cittadini nella definizione della strategia generale di sviluppo e delle scelte operative, urbanistiche e industriali, nelle singole aree che di fatto verrebbero lasciate alle decisioni di un’impresa privata. Che infatti le ha accennate nella presentazione del Masterplan a Palazzo Marino, con il Consiglio Comunale esautorato dopo l'approvazione dell'ADP.
Non c’è un solo caso di città europea che abbia adottato il modello milanese dell’Accordo di programma, secondo il quale chi conduce l’operazione è, in effetti, una società controllata da FS. In nome di chi? In sostituzione di chi? Nell’interesse di chi?
A metà del secolo il 70% della popolazione mondiale vivrà in centri urbani.
Le informazioni unilaterali possono essere proposte come un processo partecipato di confronto adeguato alla straordinaria sfida e opportunità di rigenerazione degli ex scali?
Per
dare la possibilità di partecipazione pubblica e trasparenza Lombardia
Sostenibile ha presentato, quindi, una serie di ricorsi ed esposti, uno dei
quali avrà la prima udienza al TAR della Lombardia il 15 ottobre. Per sostenere
le spese legali e di comunicazione c’è bisogno di tutti i cittadini che non
rinunciano e contribuiscono al crowdfunding sulla piattaforma 'produzioni dal
basso http://sostieni.link/21939
così da rendicontare il bilancio pubblicamente.
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