5 giugno 2020 ARCIPELAGO MILANO
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE: PRODUCI, USA GETTA?
Idee per un utilizzo sostenibile
Lo spettro delle mafie, che si inseriscono nei “buchi” lasciati dallo Stato, continua ad aggirarsi negli impianti di gestione dei rifiuti milanesi. Se i rifiuti tradizionali diminuiscono, aumentano quelli sanitari (guanti, mascherine, camici…), di cui è ancora più importante il corretto smaltimento.
C’è una conseguenza del COVID-19 che ha e avrà una permanenza più duratura della diffusione del contagio: i dispositivi di sicurezza individuale (DPI); mascherine, camici, guanti e occhiali sono monouso e dopo il loro utilizzo devono essere gettati, le strutture sanitarie, i luoghi di lavoro, i mezzi pubblici, devono essere costantemente sanificate e igienizzate e i prodotti e gli stracci utilizzati devono poi essere smaltiti.
Con l’emergenza coronavirus, in Italia i rifiuti ospedalieri sono aumentati del 20% e questo mette sotto pressione gli operatori del settore. Si tratta del 20% in più sulle circa 1.000 tonnellate di rifiuti sanitari pericolosi, che non sempre vengono gestiti e smaltiti in modo corretto. Per l’Ispra entro il 2020 il sistema italiano dovrà fare i conti con un quantitativo di rifiuti, per l’uso di mascherine e guanti, che può variare tra le 150mila e le 450mila tonnellate1.
ASL e Aziende Ospedaliere, con gare pubbliche, affidano la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti ad impianti di proprietà degli affidatari, o in convenzione con essi. Negli impianti di incenerimento dei rifiuti sanitari vi è una capacità annua non utilizzata di 200mila tonnellate. Al momento gli impianti italiani sono sufficienti, con una capacità di trattare circa 340mila tonnellate di rifiuti sanitari: 220mila con incenerimento e 120mila con sterilizzazione. Ciò a fronte di circa 145mila tonnellate di quantità effettivamente trattate: 96mila con incenerimento e 50mila con sterilizzazione.
Nella legge di conversione del Cura Italia l’art.113-bis consente un deposito temporaneo dei rifiuti fino al doppio rispetto a prima, e per più tempo. Le deroghe al deposito temporaneo dei rifiuti previste dall’articolo 113-bis possono alimentare il sistema criminale gestito dalle ecomafie. L’ampliamento dei limiti quantitativi dei rifiuti e l’estensione dei tempi di permanenza nei depositi temporanei è possibile senza autorizzazioni prima del loro avvio al recupero o allo smaltimento. Un quantitativo che può arrivare al doppio rispetto a prima: 60 metri cubi, di cui 20 metri cubi di rifiuti pericolosi con tempo di permanenza fino a 18 mesi, mentre prima il limite era di un anno.
Si tratta di deroghe che non rispondono ad una emergenza effettiva, perché l’aumento dei rifiuti sanitari ha come contraltare la diminuzione dei rifiuti urbani. Come affermato dal ministro dell’Ambiente Costa, audito dalla Commissione Ecomafia, da quando è iniziata l’emergenza Covid-19 i rifiuti – in particolare quelli urbani, differenziati e non -, sono notevolmente diminuiti a causa della contrazione del turismo e della chiusura di molte attività commerciali.
Il rischio che le deroghe alimentino l’attività delle ecomafie è ben spiegato dalla attività quotidiana dei carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico (NOE): solo una settimana fa in Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Calabria e Sicilia, è stata data esecuzione alla ordinanza di misura cautelare del Gip del tribunale di Torino, richiesta dalla DDA, contro una organizzazione responsabile di traffico illecito di rifiuti e realizzazione di discariche abusive; circa 23.000 tonnellate di rifiuti provenienti da diversi impianti del Nord Italia smaltiti illegalmente. Nove capannoni industriali dismessi sequestrati, con gran parte i rifiuti stoccati provenienti dalla raccolta indifferenziata. Una inchiesta partita nel 2018 a seguito di incendi che hanno interessato impianti formalmente autorizzati e diversi capannoni adibiti a discariche abusive.
Non si trattava di episodi isolati, ma di una sequenza puntuale che ha interessato l’area metropolitana fino ad entrare nel capoluogo della Città Metropolitana a Quarto Oggiaro. Una modalità di smaltimento dei rifiuti senza oneri e controlli che affianca le migliaia di tonnellate di rifiuti italiani trasportate illegalmente in Malesia, come ha denunciato l’inchiesta di Greenpeace.
Questo quadro e le conseguenze del COVID-19 pongono alla politica pubblica due nodi. Il primo riguarda la riduzione dei rifiuti generati dai dispositivi sanitari. Il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, ha detto alla Commissione Parlamentare sulle Ecomafie che la via per evitare la generazione di rifiuti, a seguito dell’uso diffuso e necessario dei dispositivi, passa dalla produzione e dall’utilizzo, per tutti coloro che non sono professionisti negli ambiti sanitari, di mascherine protettive lavabili e riutilizzabili. Secondo il Politecnico di Torino per la Fase 2 occorrerà circa un miliardo di mascherine al mese. Un quantitativo che si può ridurre di un terzo se si adottano quelle riutilizzabili. Ci sono inoltre aziende italiane che avrebbero definito metodi di sanificazione per il riuso dei dispositivi di protezione individuale.
Questa è l’indicazione dell’Unione Europea: la Commissione Europea ha respinto la richiesta della European Plastics Converters (EuPC), l’associazione dei convertitori plastici, di posticipare le scadenze della direttiva 2019/904-SUP per la messa al bando di alcuni articoli in plastica monouso. Il ministro Costa ha espresso la volontà di ridurre l’usa e getta per puntare su materiale recuperabile “secondo i principi dell’economia circolare”, dopo aver firmato lo statuto del consorzio italiano di bioplastiche, Biorepack: 252 aziende, 2600 addetti, una produzione annua di 90mila tonnellate di bioplastica per un fatturato di 700 milioni di euro. Il ministro Costa ha anche comunicato l’istituzione di un tavolo con Ministero dell’Ambiente, Istituto superiore di Sanità, Ispra e operatori del settore rifiuti, con la funzione di monitorare i flussi di rifiuti indifferenziati, sia da raccolta differenziata che sanitari.
Qui si incontra il secondo nodo per la politica pubblica: l’infausta legge Delrio (Legge 56/2014), che in barba al dettato della Costituzione ha lasciato le Province e le Città Metropolitane in una condizione residuale, senza risorse autonome e con prerogative ridotte. Insieme alla diminuzione sostanziale del personale addetto al rilascio delle autorizzazioni per gli impianti di deposito e smaltimento, la Delrio ha altresì ridotto e neutralizzato la Polizia Provinciale, che rilevava il 70% degli illeciti ambientali, oggi reato, e smobilitato le Guardie Ecologiche Volontarie (GEV), preziosi e competenti indicatori.
Insieme al cambio di produzione e di uso dei dispositivi sanitari, per una effettiva circolarità del sistema occorrono tracciabilità e controlli lungo la filiera, ripristinando la presenza i poteri e le competenze degli organi previsti dal Titolo V della Costituzione per il governo e il coordinamento delle aree metropolitane e delle aree vaste. Quindi non dobbiamo affrontare alcuna emergenza impiantistica di smaltimento legata al Covid-19; piuttosto, dobbiamo attuare sia le linee guida dell’Unione Europea per la sostenibilità dei prodotti – senza puntare sull’usa e getta della plastica monouso, su inceneritori e discariche -, sia il dettato Costituzionale per il governo e il controllo del territorio e delle attività che ospita.
Fiorello Cortiana
Nessun commento:
Posta un commento