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martedì 1 dicembre 2020

CHI DECIDERA' LO STATO DI ECCEZIONE?

milanoambiente.net Cultura green e lotte metropolitane CHI DECIDERA' LO STATO D'ECCEZIONE? di Fiorello Cortiana (Lombardia Sostenibile)
Tutto non deve tornare come prima, perché è da “come era prima” che si generano disastri. Disastri virali, virali nella sfera biologica del vivente, come per Ebola, la SARS, oggi il Covid19, nonché per i radionuclidi di Three Miles Island, Chernobyl, Fukushima, piuttosto che digitali, nei crash dei sistemi operativi e nella sottrazione e manipolazione di dati identitari. Qui da noi i disastri hanno l’etereità dell’inquinamento da fossili per il riscaldamento e la mobilità, con 80.000 morti all’anno, piuttosto che le produzioni di amianto a Casale Monferrato o le emissioni e i reflui dell'ILVA a Taranto, emissioni che nel solo quartiere Tamburi interessano 18.000 persone. Stiamo vivendo una crisi pandemica, che interessa tutti gli abitanti di questa Piccola Terra. La terra che forse possiamo e, per necessità evidente, dovremmo riconoscere, nella felice suggestione di Edgar Morin, come Terra Matria, come corpo generativo. Anch’io penso che crisi non sia sinonimo di catastrofe, ma ci salveremo in virtù di una scelta di valore e non a seguito della disperazione per un disastro irreparabile, più grande degli altri. È necessario un cambio di paradigma e la determinazione a proporlo, ora che alcuni nodi vengono al pettine: l’idea di una crescita quantitativa illimitata, a spese di una supposta disponibilità illimitata di risorse, non solo si è rivelata fallace ma altresì una minaccia per la possibilità della nostra specie di vivere nell’ambiente terra che si sta venendo a definire. Qui il concetto di hybris evidenzia un antropocentrismo presuntuoso e incapace di una funzione di custodia fondata sull’etica della responsabilità. Le disuguaglianze di opportunità sociali, da tempo tornate, si sono drammaticamente accentuate in questa crisi. Chiamiamo “distanza sociale” il distanziamento individuale: se si tratta di un refuso questo risulta molto indicativo di una condizione collettiva dove non è scontata la possibilità dell’emancipazione sociale, si è più impegnati ad evitare il declassamento. Per questo i giovani non occupano le piazze per decidere del loro futuro. Se come società vogliamo essere capaci di futuro non possiamo esimerci dal fare i conti con alcune evidenze, non più trascurabili, proposte da questa crisi pandemica. Le morti degli anziani nelle RSA al tempo del Covid 19 hanno avuto un carattere sistemico così intenso da caratterizzarle come una strage. Hanno altresì avuto una chiara funzione di indicatore sociale: la nave fa acqua e ci si libera dalla zavorra, invece di capire perché c’è la falla e come ripararla. In una società votata al consumismo e a legare la dignità delle persone alla loro capacità di spesa, dove lifting e viagra concorrono alla esibizione di un eterno giovanilismo, che si esime dalle responsabilità adulte verso l’altro da sé, aumenta l’età media ma gli anziani diventano un peso. Il treno della crescita quantitativa illimitata si sta infilando dritto nel burrone, questo è il fatto, occorre fermarsi e cambiare direzione. È chiaro che la qualità della salute è il prodotto di ciò che mangiamo e ciò che respiriamo, della qualità del rapporto mente-corpo-natura di cui è fatta la nostra vita quotidiana. Per questo è sbagliato pensare che i problemi dell’agire sociale di ognuno di noi diventino, in modo ineluttabile, una questione di ordine terapeutico finendo nell’imbuto ospedaliero dei pronto soccorso. Prevenzione, precauzione, condivisione della ricerca finanziata con soldi pubblici, presenza sul territorio, a partire dagli assistenti sanitari nelle scuole, dai medici di famiglia, da quelli sportivi e dal volontariato organizzato nel terzo settore, devono perciò diventare elementi costitutivi di una politica pubblica sociosanitaria che attui il diritto costituzionale alla salute. Immuni si propone come una applicazione efficace per mappare il contagio ma solleva questioni delicate per una democrazia nella società della conoscenza, quale è la nostra. È evidente l’utilità della tracciabilità dei comportamenti per ciò che riguarda la domotica e il ciclo dei consumi energetici e della generazione di rifiuti, così per la infomobilità con la relazione tra traffico-congestione-incidentalità-emissioni-produttività, diversa è la cifra che riguarda il corpo e il profilo identitario di ognuno di noi. Il mercato dei Big Data, il data mining è questo, ma ci sono dati che non possono diventare merce, per questo, senza pudori, occorre affermare che ci sono diritti che non possono sottostare alle ragioni del mercato e dei quali occorre tutelare la indisponibilità. È possibile uscire dai due corni del vincolo. Occorrono volontà, talento e sapienza per usare le contingenze dell’inaspettato, a partire dalle regole del gioco, occorre un altro approccio per permettere l’illuminazione. Occorre una ricongiunzione fra mente corpo e natura, fra sfera antropologica e biologica, una ri essione su come esercitiamo la nostra soggettività. Open data, accountability, trasparenza, partecipazione informata, valorizzazione delle istituzioni e della rappresentanza, sono elementi costituivi di una politica pubblica capace di liberarsi in chiave innovativa dai corni del doppio vincolo “o insicurezza virale o controllo sociale diffuso”. Nel contesto di affido e di adattamento dei processi cognitivi ai programmi di Intelligenza Artificiale, si pone il bisogno della consapevolezza e della composizione della relazione tra saperi e sapienze. Nella società della conoscenza a scuola non si deve insegnare a “saper fare”, si va a scuola per apprendere ad apprendere. Nelle conclusioni della relazione del 2002 Rodotà profeticamente avvertiva che “Se non si arriverà a questa “costituzione di Internet”, le regole rischieranno d’essere dettate soprattutto dalle logiche tecnologiche e dalle logiche (e dalle censure) di mercato.”
C'è un elemento cruciale che determina l’immiserimento che conosce questa stagione del vivere civile, un elemento omologante come una metastasi, che si espande a spese del patto sociale, cambiandone la qualità. È il mondo parallelo delle mafie. Nella quotidianità non emergenziale, in Italia si producono, giornalmente, circa 1.000 tonnellate di rifiuti sanitari pericolosi, gestiti e smaltiti non sempre in modo adeguato. Nelle strutture di 24 paesi verificate nel 2015 dall’Oms e dall’Unicef, ciò si è verificato nel 58% dei casi. Parliamo di circa 200 mila tonnellate prodotte ogni anno. Per buona parte di queste Asl e Aziende Ospedaliere, tramite gare pubbliche, affidano la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti presso impianti di proprietà degli affidatari o convenzionati con essi. Dentro l’emergenza coronavirus, i rifiuti ospedalieri sono aumentati del 20% e gli operatori del settore sono sotto pressione. Percentuale in aumento se solo pensiamo ai presidi sanitari dei quali tutti devono disporre e alle opere di sanificazione legati alla Fase 2 alla nuova normalità che seguirà. Le strutture sanitarie, i luoghi di lavoro, i mezzi pubblici, devono essere costantemente sanificate e igienizzate e i dispositivi di protezione, i prodotti e gli stracci utilizzati devono poi essere smaltiti. Il problema ambientale, industriale, e di salute pubblica, deriva dalla presenza di un sistema parallelo, con operatori legati alla malavita organizzata, che agisce e smaltisce fuori dalla legalità e dalla sostenibilità ambientale del processo di gestione, con intrecci tra Nord e Sud del Paese. Le sentenze hanno dimostrato l’influenza delle cosche con la classe dirigente della Pubblica Amministrazione, locale e regionale, amministratori e funzionari. Coloro che decidono su indirizzi politici, procedure e capitoli di bilancio della spesa pubblica. Uno scambio di favori: incarichi professionali con aiuti elettorali, tangenti con assunzioni e promozioni. Così facendo non si ha solo una alterazione della legalità, quindi della concorrenza, della qualità delle infrastrutture, dello smaltimento dei rifiuti, della qualità delle acque di falda, dei terreni, dell’aria, della sicurezza e dei diritti dei lavoratori. Nel tempo si alterano la qualità e i profili della stessa classe dirigente della PA, delle politiche adottate e degli interlocutori cui questa deve rispondere e rendicontare: non più gli elettori ma i padrini. La corruzione si conferma lo strumento più efficace, per aggirare ed eludere le regole per la tutela dell’ambiente e generare profitti illeciti. Tra il 1 giugno 2018 e il 31 maggio 2019 sono ben 100 le inchieste censite da Legambiente svolte da 36 procure: 597 persone denunciate, 395 arrestate, 143 sequestri. La classifica della corruzione 2019 vede in testa le quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso con 43 inchieste, il 43%, ma è il Lazio la regione con il numero più alto di inchieste, 23, segue la Sicilia con 21, terza la Lombardia con 12 , che precede la Campania con 9, chiude la Calabria con 8. Il problema delle mafie non è quello di generare valore ma di parassitare chi lo produce, adattandosi ad ogni cambiamento che viene generato da altri., come una metastasi appunto. Certamente è necessaria una cultura condivisa della legalità come fondamento del patto sociale, con la consapevolezza diffusa del danno arrecato alla società, alla democrazia, all’economia, dalla presenza delle mafie con la loro attività di contagio mortale. È l'istituto della democrazia ad essere chiamato ad una rigenerazione. Trasparenza e rendicontazione della Pubblica Amministrazione, effettiva partecipazione informata dei cittadini, esercizio diffuso ed effettivamente abilitato dagli strumenti di partecipazione della cittadinanza attiva, per cui l’accesso alla giustizia da parte delle associazioni dovrebbe essere gratuito ed effettivamente accessibile, qualità della rappresentanza istituzionale. Sono le condizioni per produrre una cultura condivisa della legalità. Il paradigma della complessità richiede un equilibrio evolutivo sostenibile per lo svolgersi di un modello di sviluppo possibile. Ciò determina la relazione coerente tra i fini e i mezzi: questo non significa la fusione delle identità culturali, religiose, etniche, in una omologazione indifferenziata, al contrario richiede il riconoscimento delle differenze, quindi della complessità, luoghi procedure e regole per il confronto e il dialogo. Perché sono le differenze a generare la comunicazione, è evidente in un bosco così come in un giardino, piuttosto che nelle colture o nei diversi linguaggi espressivi, come musica, pittura, cinema, fotografia... Questo approccio entra direttamente in tensione con chi pensa di ripristinare il modello energivoro che produce scarti ambientali e sociali nella sua affermazione di valori nominali e nella costruzione di bolle speculative, che richiede spettatori e surfisti dell’informazione , mantiene i paradisi fiscali per gli speculatori finanziari e le mafie, ma non tollera chi sfora i bilanci per rispondere alle emergenze. Secondo Carl Schmidt, il politico, il sovrano, è colui che decide lo stato di eccezione. Oggi è corretto dire non solo chi decide lo stato di eccezione ma anche chi lo definisce. In questa distanza tra visioni si genera il conflitto, quindi politica partecipata, per gli ecologisti qui risiede la capacità di non farlo diventare una questione di ordine pubblico o terapeutico ma una possibilità di innovazione qualitativa del vivere sociale.

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