mercoledì 21 febbraio 2024
LA SANITÀ LOMBARDA NON FUNZIONA l'inquinamento invece funziona bene
ArcipelagoMilano 20 febbraio 2024
di Fiorello Cortiana
Milano, nella giornata di domenica 18 febbraio, è stata preceduta soltanto da Dacca in Bangladesh e da Lahore in Pakistan, tra le città più inquinate al mondo. Classifica che il sito svizzero IQAir aggiorna costantemente. Il sito svizzero ha indicato una concentrazione di PM 2.5, le ‘polveri sottili’, di quasi 30 volte superiore al livello per la qualità dell’aria indicato dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Secondo il sindaco Sala “Sono le solite analisi estemporanee, gestite da un ente privato.
Mi meraviglio anche di voi, non é che potete riportare notizie lette dai social. Una reazione stizzita al dato registrato dal sito svizzero, eppure anche un report dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea, ha illustrato che a gennaio ‘24, in più casi, è stata superata la soglia critica delle concentrazioni di PM10. I dati sono del servizio europeo di monitoraggio dell’atmosfera Copernicus noto come Cams, che monitora e prevede la qualità dell’aria su scala globale e regionale, combinando osservazioni satellitari e sul terreno, di inquinanti atmosferici.
IQAir consigliava di evitare l’esercizio fisico all’aperto, di chiudere le finestre casa, di indossare mascherine all’aperto e utilizzare i purificatori d’aria. Nessun ente istituzionale ha dato queste indicazioni alla cittadinanza nelle settimane di gennaio. Il sindaco Sala avrebbe altresì potuto seguire l’appuntamento dell’European Respiratory Society, dal 9 al 13 settembre scorsi a Milano. Francesco Forastiere: «I piccoli sono i più esposti alle polveri sottili. Hanno più probabilità di sviluppare infezioni respiratorie e ritardi nello sviluppo». Avrebbe potuto ascoltare Francesco Forastiere, epidemiologo e direttore della rivista Epidemiologia&Prevenzione, docente all’Imperial College di Londra.
«Le polveri sottili aumentano il rischio non solo che i cittadini sviluppino malattie respiratorie, ma anche cardiovascolari. E si stanno acquisendo conoscenze sul collegamento con la demenza, l’autismo e il diabete».
«A causa dell’inquinamento è più alta la probabilità di essere colpiti da infarto, ictus, scompenso cardiaco, asma bronchiale, bronchite cronica. E lo smog peggiora le condizioni di chi è già malato».
«I bambini esposti all’inquinamento hanno più probabilità di sviluppare infezioni respiratorie, asma e ritardi nello sviluppo: è nostra responsabilità proteggerli».
«La Commissione europea ha sviluppato la proposta di direttiva che, una volta approvata, scatterà dal 2030: la direttiva propone limiti a metà strada tra quelli dell’Oms e quelli in vigore ora».
« Serve anche più formazione dei medici e degli operatori sanitari». Sono considerazioni cruciali che vanno messe in relazione ad un sistema socio-sanitario che sembra avere altri indici di riferimento, altri benchmark: quelli di farmindustria.
Andiamo con ordine, partiamo dalla prevenzione e dalla cura, quindi dalle visite e dagli interventi. Ad esempio: in Italia il tempo medio d’attesa per una prestazione sanitarie per un intervento per tumore alla mammella è di circa 27 giorni, 30 in Lombardia. Per un tumore alla prostata, l’attesa media italiana è di 53 giorni, 67 in Lombardia. È certamente capitato a tanti di sentirsi proporre, per esami, visite, interventi, tempi molto ristretti con soluzioni ‘in solvenza’. Eppure, laddove fossero esaurite le possibilità di prestazioni con il Servizio Sanitario Nazionale, presso una unità ospedaliera pubblica o del cosiddetto privato convenzionato, la legge prevede che, al costo dello stesso ticket, la prestazione debba essere calendarizzata sulle agende delle solvenze.
La riforma regionale lombarda, dal 1° settembre 2022, ha introdotto visite ed esami serali, il sabato e la domenica e un nuovo sistema di remunerazione legato al rispetto dei tempi d’attesa, con tagli dal 5% al 50% dei rimborsi alle strutture, per ogni prestazione fornita oltre i tempi previsti. Anche nel privato accreditato. Ciò perché ‘in solvenza’ fosse una libera scelta del cittadino non una costrizione per avere visite e interventi in tempi rapidi. Ma tant’é…
Facciamo un passo di lato e consideriamo il mondo del farmaco. Un mondo articolato e definito da norme. Ai fini della rimborsabilità, i farmaci sono classificati in tre diverse fasce (o classi): FASCIA A: comprendente, così come definiti da AIFA, i farmaci essenziali e quelli per le malattie croniche, interamente rimborsati dal SSN, a meno che non sia presente una nota AIFA che vincola la rimborsabilità a specifiche condizioni patologiche o terapeutiche in atto.
La modalità di fornitura dei farmaci di fascia A avviene attraverso le farmacie territoriali o le strutture sanitarie pubbliche. La determinazione del prezzo avviene attraverso la contrattazione tra AIFA e le singole aziende farmaceutiche.
FASCIA H: comprendente i farmaci di esclusivo uso ospedaliero utilizzabili solo in ospedale o che possono essere distribuiti dalle strutture sanitarie.
FASCIA C: comprende quei farmaci che, secondo AIFA, non sono considerati essenziali, ma che richiedono comunque una prescrizione medica, e sono a totale carico del paziente (ad eccezione dei titolari di pensione di guerra vitalizia). I farmaci di fascia C senza obbligo di prescrizione medica sono a loro volta distinti in due sottoclassi: farmaci utilizzati per patologie di lieve entità o considerate minori (OTC) individuati nella fascia C-bis, e farmaci senza obbligo di prescrizione medica (SOP). I prezzi dei farmaci di fascia C sono liberamente determinati dalle singole aziende farmaceutiche. Il loro prezzo, e quello dei medicinali di fascia C-bis, può essere aumentato da parte delle aziende produttrici ogni due anni, nel mese di gennaio degli anni dispari. Sugli aumenti di prezzo vigila l’AIFA che effettua un monitoraggio sugli incrementi, che non possono superare l’inflazione programmata.
I prezzi dei medicinali senza obbligo di ricetta medica, invece, sono stabiliti autonomamente da ciascun esercizio (farmacia, parafarmacia o corner del supermercato). In realtà c’è un prezzo “consigliato” dalla azienda produttrice sul quale il venditore può applicare uno sconto.
Un cambiamento epocale è avvenuto, alcuni anni fa, con l’arrivo dei farmaci equivalenti, i “farmaci generici”, che ha comportato una evidente riduzione dei prezzi, in particolare dei farmaci in fascia A, e di conseguenza dei ricavi da parte delle aziende farmaceutiche.
Moltissime aziende farmaceutiche si sono, quindi, concentrate sullo sviluppo della fascia C, in particolare degli OTC e SOP, che possono essere pubblicizzati al consumatore finale, il paziente, si prestano alla creazione di linee di prodotti più o meno uguali spiegati negli spot, vengono venduti non solo in farmacia, ma on-line, in parafarmacie o corner nei supermercati. Inoltre. Anche per loro il prezzo può essere aumentato ogni due anni.
C’è stato un settore che ha avuto un notevole sviluppo negli ultimi anni: quello degli ‘integratori alimentari’, per i quali è molto più rapido ottenere le autorizzazioni e non sono vincolati né nel prezzo, né nei controlli.
Questa fascia di mercato era prerogativa di aziende specializzate mentre oggi vede la presenza anche di molte aziende Farmaceutiche classiche.
Gli “integratori” soddisfano il crescente bisogno e la ricerca della salute da parte della popolazione, che vuole sentirsi protetta e in salute, a cui non piace sentirsi malata e, quindi, ritiene di non aver bisogno del farmaco.
Gli ‘integratori’ contengono sostanze o dei principi attivi che hanno delle attività farmacologiche che potrebbero essere causa di effetti indesiderati o di interazioni con eventuali farmaci assunti in concomitanza. Perciò dovrebbero essere assunti con cognizione di causa, meglio se su consiglio di un medico o di un farmacista, invece dei ‘fai da te’ su Google.
Arriviamo, quindi, al medico di base, che ha incentivi regionali se non supera una percentuale di prescrizioni. Per cui: se si vuole la sua prescrizione per un esame particolare, questa deve essere indicata da uno specialista e noi torniamo alla casella vicina ‘in solvenza’ o lontana con il SSN. Con l’aumento significativo dell’età media della popolazione la domanda di prestazioni sanitarie è destinata ad aumentare, con essa il carico assistenziale per i medici di base, per i centri diagnostici e per gli ospedali.
Le Case di Comunità sono state pensate per uscire da questo doppio vincolo, affinché il medico di base potesse lavorare in modo integrato nelle Case di Comunità, mettendosi così in rete e in relazione con gli specialisti. Informazioni, prestazioni e cure puntuali, capaci di una risposta qualitativa a un aumento quantitativo della domanda. Evitando, altresì, di caricare in modo improprio i Pronto Soccorso, particolarmente nei fine settimana.
Le 216 Case di Comunità previste dall’assessore regionale di allora Letizia Moratti, o le 500 richieste dal Pd, hanno fissato il confronto in modo strabico sui costi e sulla necessaria assunzione di migliaia di medici e infermieri, che in Italia non ci sono anche grazie al numero chiuso nelle facoltà di medicina. Le Case di Comunità esistenti sono, in buona sostanza, scatole vuote, invece degli ambulatori territoriali, anch’essi previsti dalla riforma regionale, non c’è traccia. Così come non vi è alcuna partecipazione degli Enti del Terzo Settore alla co-programmazione e co-progettazione, come previsto dalla norma e dal Codice del Terzo Settore e come richiamato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 131 del 2020, che vede l’esercizio della sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118 della Carta.
Il sistema socio-sanitario è sottoposto a due sollecitazioni. Quella della Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 236/2012, afferma che la libertà di scelta del luogo di cura è chiaramente indicata priva di carattere assoluto, dovendo essere contemperata con altri valori costituzionali, anche in considerazione di limiti oggettivi derivanti dalle risorse finanziarie disponibili.
Il legislatore può limitare detta libertà di scelta del paziente “a condizione che il sacrificio risulti necessario dall’esigenza di preservare altri beni di rango costituzionale, quale ad esempio un efficiente ed efficace organizzazione del sistema sanitario”.
Analogamente per il diritto all’assistenza indiretta: la Corte costituzionale lo fa rientrare nel “contenuto essenziale” del diritto alla salute, collegato all’esistenza e alle modalità organizzative del Servizio sanitario nazionale. Nella sentenza n. 267/1998 si stabilisce che la scelta del paziente è salvaguardata “da quelle disposizioni di legge – come l’art. 3 della legge n. 595 del 1985 – che legittimano il ricorso a forme di assistenza indiretta nelle ipotesi in cui le strutture del servizio sanitario – incluse quelle convenzionate ed oggi quelle accreditate – non fossero in grado di assicurare un tempestivo intervento sanitario, reso peraltro indifferibile dalle condizioni di salute della persona bisognosa di prestazioni di cura”.
Per conseguenza, è illegittima la legge (nel caso una legge regionale) che escluda qualsiasi rimborso in mancanza di previa autorizzazione, senza possibilità di deroga, “neppure qualora ricorrano particolari condizioni di indispensabilità, di gravità ed urgenza non altrimenti sopperibili”.
La Corte è esplicita anche in relazione ai limiti oggettivi delle risorse disponibili. Con la sentenza n.304/1994, afferma che nel bilanciamento dei valori costituzionali che il legislatore compie nel dare attuazione al “diritto ai trattamenti sanitari”, non può non tenersi conto delle esigenze relative all’equilibrio della finanza pubblica. Se queste esigenze, “nel bilanciamento dei valori costituzionali operato dal legislatore, avessero un peso assolutamente preponderante, tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto alla salute connesso all’inviolabile dignità della persona umana, ci si troverebbe di fronte a un esercizio macroscopicamente irragionevole della discrezionalità legislativa”.
La “dignità umana”, quale “nucleo irriducibile del diritto alla salute”, un limite invalicabile di cui nel bilanciamento il legislatore non può non tener conto.
La seconda sollecitazione ha la prepotenza del mercato e degli interessi finanziari e professionali inerenti. La salute qui diventa una merce e il cittadino diventa un consumatore da spremere. Di fronte a un problema di salute, i pazienti hanno due possibilità: pagare le cure di tasca propria, tramite assicurazione privata o direttamente pagando la prestazione. Così le liste d’attesa distribuiscono la domanda di prestazioni su un tempo lungo in sintonia con le scarse risorse pubbliche disponibili annualmente stanziate. Le risorse per il capitolo socio-sanitario delle regioni sono sostanzialmente definite dal governo centrale, solo in parte dalle regioni con una quota dell’IRAP e con le addizionali IRPEF.
E’ una condizione discriminante di classe che risolve la tensione tra l’accesso universale alle prestazioni, l’esenzione dal pagamento delle stesse per molti pazienti e la sostenibilità del sistema dei bilanci pubblici, a favore della compatibilità di fatturazione della sanità convenzionata e dei suoi medici. Rispetto al circolo vizioso tra prescrizioni e prestazioni, in solvenza o in ritardo, nel quale ogni cittadino percorre il suo Gioco dell’Oca la proposta dell’assessore regionale lombardo Bertolaso è così a-contestuale da crederla riferita ad un altro pianeta. Ha spiegato a Lombardia Notizie Online “Il concetto della premialità è semplice. Se porti avanti uno stile di vita il più corretto e salutare possibile, puoi guadagnare punti che ti permettono di ottenere un riconoscimento”. “Per incentivare comportamenti virtuosi che, fra l’altro, ci consentirebbero anche di abbattere i costi della sanità, si potrebbe ricorrere a una premialità. Penso, ad esempio, ad ingressi nei nostri centri termali di altissima qualità dove effettuare cure o alla possibilità di offrire skipass gratuiti sui nostri comprensori montani che, proprio fra 2 anni, ospiteranno le Olimpiadi. Stiamo anche pensando a come coinvolgere gli organizzatori dei grandi eventi che ogni anno ospitiamo in Lombardia in modo tale da mettere a disposizione premialità di questo genere”.
La questione delle liste d’attesa è un’emergenza strutturale e con il modello attuale di sanità non potrebbe essere altrimenti. Con tutta evidenza si tratta di una questione di equità sociale e come tale va riconosciuta e affrontata.
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