BENE COMUNE
da principio filosofico ad azione politica
La Grande Milano come impresa sociale policentrica
Fiorello Cortiana
Prologo
Stiamo attraversando una crisi prodotta dalla ridefinizione degli equilibri e dei pesi specifici propri della globalizzazione. In particolare apprezziamo gli effetti della crisi di un modello di sviluppo basato sulla crescita quantitativa illimitata, incurante delle risorse naturali delle quali disponiamo e, quel che è peggio, con la sua deriva speculativa finanziaria che produce valore come bolla nominale. Dentro questa condizione l'Italia rivela i limiti di una politica consociativa frutto dell'aggiramento della conventio ad escludendum prodotta dalla cortina di ferro di Yalta. Leadership formate alla rendita di posizione, allo scambio, finalizzati alla cura di interessi particolari, personali e di cordata invece che agli interessi generali, di queste e delle future generazioni, quindi responsabili di una proposta capace di futuro. Così la dimensione consociativa e la spartizione delle risorse pubbliche, normative, di indirizzo e finanziarie, è diventata costitutiva e omeopatica. Ogni proposta che la metteva e la mette in discussione, dall'esterno e anche dall'interno, è stata vissuta come una interferenza da ridurre a questione di ordine pubblico o terapeutico e comunque da tenere ai margini se non da escludere dalla comunicazione pubblica. In luogo della competizione tra idee-programmi-leadership prende corpo l’alterità assoluta reciproca. Bersani risponde così a Grillo: «Vedo correre sulla rete frasi come 'Siete cadaveri ambulanti', 'siete zombi' e 'vi distruggeremo'. Sono linguaggi fascisti a noi non ci impressionano”. Così se Repubblica ha accusato Renzi, che proponeva per le elezioni di chiedere voti agli elettori delusi del centrodestra, di chiedere agli elettori del centrodestra il sostegno alle primarie, l’Unità ha sostienuto che l’idea della rottamazione proposta da Renzi “ha una ascendenza fascistoide”. Una minaccia barbara. Come nota Massimo Cacciari "Barbaro non è solo il nostro nemico, ma il nemico del genere umano. Rude, feroce come una fiera intrattabile, impossibile da "addomesticare"- con lui l'unica pace consiste nel distruggerlo." e ancora "Il rapporto col barbaro è quello amico-nemico allo stato puro, in qualche modo addirittura pre-politico.". È vero addirittura "pre-politico", lo stesso Carl Schmitt, nella "Tirannia dei valori", ritiene che "l'essenza del politico non è l'inimicizia pura e semplice, bensì la distinzione tra amico e nemico, e presuppone tanto l'amico quanto il nemico". È proprio il rapporto amico/nemico e il conflitto che esso genera che permette e determina un ordine proprio perché la politica decide di includerlo al proprio interno. Solo se i contendenti si riconoscono l'un l'altro come "hostes aequaliter justi" è possibile evitare il nichilismo prodotto dall'inimicizia assoluta. Solo così è possibile che il conflitto possa generare innovazione e alternanza dentro un comune campo di regole e di istituzioni definito dalla Carta Costituzionale. Al contrario se questo campo e la Carta che lo regola e lo delimita vengono considerate come cosa propria da/di una delle due parti, in una relazione di alterità assoluta, a rischio di annientamento non è solo una delle due parti bensì la natura della Carta stessa e le istituzioni cui dà corpo e regole.
La democrazia in Atene non nasce dal basso, nasce come sfida e provocazione intellettuale di una élite di aristoi che supera, come un limite, ogni criterio integralista.
Il criterio di valutazione è l'arete ma il campo è aperto a tutti. L'arete che si può insegnare e apprendere in quanto dote umana. "L'arete. L'esperienza attiva del valore."
Per i greci il potere non deriva da una fonte divina, i criteri di attribuzione e il riconoscimento di autorità sono intrinsechi alle forze in gioco.
La condivisione come costruzione di una amicizia pubblica che genera un modello comportamentale che convive con un senso etico ed estetico, che genera contraccambio e produce valore.
Lo spazio pubblico come spazio aperto nel quale sono la qualità e l'autorevolezza a definire il peso di ognuno. Demos, come la comunità politica cui ogni cittadino può partecipare.
Come ha detto Aristotele “La polis come dimensione naturale dell'uomo come animale sociale, la città come ambiente artificiale ove esperire la propria arete.” Vi è la condivisione dello spazio pubblico da parte di tutti insieme alla valutazione degli attori che si mettono in competizione. È la reputazione a definire il peso degli attori con una ridislocazione costante del potere.
La politica come uguaglianza, non per censo, per religione, per etnia, per territorio, per gerarchie date"prendendo il meglio da dovunque venga" come in Atene descritta in Athenaion Politeia di Aristotile, Atena convince e converte le Erinni a diventare Eumenidi, demoni benefici, è la contraddittorietà costitutiva dello spazio pubblico: controllo/libertà.
La città come spazio comune: partecipare allo spettacolo tragico fa dei cittadini di Atene degli aristoi indifferenziati.
Come osserva Monica Centanni:
"La città come il suo teatro non risolve le antinomie ma le contiene in una forma"
"La polis dice, nella sua tragedia, il tentativo di tradurre le tensioni interne potenzialmente distruttive in agonismi costruttivi e fecondi: di ricavare nel caos dell'indistinto un ordine, una forma." "Atene insegna, dunque, che la pacificazione politica, neppure nel periodo più splendido della polis periclea, può esser lo stato fisiologico della città: il tempo politico è, per natura della sua intima contraddizione, scandito da ritmi interrotti; è frammentato, discorde."
Cosa ne è della politica della polis? Partiamo dove tutto, per noi, è iniziato. Partiamo dalla
Monica Centanni ci ricorda che” Ciò a cui Pericle dà il nome di ‘democrazia’ è innanzitutto (…) un riconoscimento di parità dei cittadini di fronte alle leggi (…). Nella dimensione pubblica (…) si inaugura uno spazio agonisticoin cui tutti, una volta garantital’uguaglianza di partenza davanti alle leggi, sono in competizione per dignità, e la distinzione avviene in abase alla qualità, alla soggetiva,individuale arete: ogni cittadino (…) se si distingue per valore in un dato ambito e intende agire per il bene della città, ha la possibilità di acquisire meriti e reputazione, e quindi di accedere alle cariche di governo.” “l’arete,nel tempo degli eroi monopolio degli aristoi, ora è virtualmente accessibile a qualsiasi elemento del demos,” L’arete, l’esperienza attiva del valore.
Non esiste potere che non sia espressamente secolare. Questo il presupposto democratico ateniese e ognuno sarà valutato e scelto in base alla sua reputazione e alla sua capacità. Il coinvolgimento attivo della totalità dei cittadini alla vita politica non avviene a spese degli aristoi, ma per l’allargamento a tutto il demos del privilegio e dell’onere della gestione attiva del governo della città. Così quello che era un privilegio diventa, in un processo di riconoscimento reciproco e di inclusione, una responsabilità condivisa.
L’esperienza democratica ateniese vive finché vive il reciproco riconoscimento tra aristoi e demos.
Oggi una casta diffusa di oligarchi costringe le potenzialità sociali, economiche e politiche, dentro a forme di rappresentanza e negoziazione molto difformi rispetto alla realtà, spesso ignorandola o costringendola a condizioni di precarietà. Tutto ciò che è esterno a quelle forme di rappresentanza e negoziazione, tutto ciò che pone nuove domande e afferma nuove soggettività politiche è considerato estraneo e pericoloso per la democrazia stessa.
Cosa succede?
Al di là della Meglio Gioventù la generazione anni '70 nei suoi gruppi dirigenti diffusi é stata narcisa e, come si dice a Milano, "un tanto al chilo". Basta vedere l'intervista rilasciata da Manconi al Corriere su Grillo "fascista", con un arrampicamento sul vetro bagnato é riuscito a dire che l'accusa di "diciannovismo" al Movinento del '77 era sbagliata e non equivalente all'epiteto rivolto ai grillini. Senza capire che i partiti erano omeostatici allora, con il '68 e il '77, così oggi con ciò che sfugge loro. La generazione sessantottina che godette dell'accesso alla scuola di massa, cosiddetta, oggi é quella che seleziona l'ingresso alle facoltà attraverso test e non attraverso verifiche psico-attitudinali.
Il problema non é stato il '68, che solo Aldo Moro capì, ma l'arroganza, la mancanza di tenuta esistenziale e l'incapacità di responsabilizzarsi di chi lo interpretò e usò a fini personali...e continua.
Il limite, enorme per me, di Grillo é quello di avere un modello relazionale Broadcasting, personalistico/plebiscitario, in questo simile a B. Ciò abbinato ad un cinismo marketing elettorale pronto a offrire rappresentanza elettorale a chi ne è al momento mancante. Siano i contrari allo ius soli per i figli di immigrati nati qui o coloro che attribuiscono all’Euro le nostre difficoltà economiche. La questione politica posta dal consenso a Grillo-5 Stelle va’ oltre questi limiti e spregiudicatezze e risiede nelle migliaia di grillini impegnati nella politica pubblica e nei milioni di italiani che dichiarano l'intenzione di votare i 5 Stelle.
É questo che rende insofferenti i partiti così come sono.
Emergenza economica e finanziaria ed emergenza criminale nelle istituzioni, accompagnate ed espresse da un vuoto di proposta della politica danno luogo a soluzioni semplificatorie da parte del “Governo Tecnico” all’insegna della contabilità della spending review.
Ci troviamo di fronte ad una strisciante destrutturazione dell'architettura dei poteri istituzionali così come definita dalla Costituzione. L'aristocrazia finanziaria e del capitalismo familiare italiano, grazie all'insipienza/sudditanza/complicità consociativa dei partiti, sta ricacciando il Demos/Gentaglia fuori dall'ambito della partecipazione alla politica pubblica. La legge elettorale vorrebbe sancire il compimento di questa intenzione ma le contraddizioni interpartitiche e intrapartitiche sono molte e il gioco presenta smagliature da utilizzare.
Tra la partitocrazia autoreferenziale e bulimica e la tecnocrazia finanziaria occorre definire una terza via per un riformismo radicale e sostenibile, socialmente e ambientalmente.
Io credo che la Grande Milano non debba costituire una estensione di periferie, dove i comuni di cintura diventano i nuovi Corpi Santi, e l’insieme urbano una piattaforma energivora e inerte per metropolitan-users con i loro veicoli, il loro ingomro statico e dinamico, i loro treni in ritardo, la loro produzione di RSU e di PIL.
Io penso che la costituzione della Città Metropolitana si presenti come una straordinaria opportunità per contribuire alla definizione di un Sistema Territoriale Qualitativo: qualità dei servizi-qualità delle infrastrutture-qualità ambientale- qualità sociale- qualità della ricerca- qualità nella partecipazione informata alla cosa pubblica.
E’ possibile cogliere questa opportunità se sarà disponibile e diffusa la possibilità per tutti i cittadini e residenti di partecipare alla sua definizione attraverso procedure e piattaforme interattive.
La pratica di un modello reticolare è propria di un sistema territoriale qualitativo dove l’opinione pubblica avvertita è costituita dalla condivisione di responsabilità con la cittadinanza attiva.
In un modello eco-sistemico reticolare di impresa sociale condivisa è possibile iniziare una riflessione descrittiva e propositiva dell’insieme a partire da qualsiasi componente.
L’energia e la sua rete ad esempio.
La conoscenza rinnovabile in rete
Ma davvero è possibile affidare un segmento nevralgico della nostra vita, come la produzione e distribuzione di energia, ad un modello sociale orizzontale, dove non dominano gerarchie e proprietà esclusive, e dove il fabbisogno dell'utente è la bussola per l'autoproduzione?
La domanda, a questo punto, non è retorica.
Capire se davvero una geometria organizzativa, come il network, possa funzionare nel settore energetico diventa vitale se dobbiamo immaginare che una piattaforma di produzione portante, come sarà il fotovoltaico vi si debba uniformare.
In sostanza se l'energia solare prevale sulle altre fonti tradizionali anche per il suo modello di utenza, allora diventa essenziale capire se questo modello sia sostenibile. A partire dai suoi capisaldi e dai suoi precedenti.
Esistono esempi, anticipazioni, tendenze che ci fanno intendere che3 il servizio energetico possa prescindere da gestioni proprietarie centralistiche?
La risposta a questa domanda lo cerchiamo nel mercato di riferimento della modernità: gli Stati Uniti d'America.
Alcuni dati di scenario:
Uno dei fenomeni di efficienza più accreditati nel servizio energetico negli Usa è il Touchstone Energy (www.touchstoneenergy.com), un consorzio di cooperative che assicura la distribuzione di energia a 16 milioni di famiglie, sparse in 39 stati dell'unione. Il network funziona come un'agenzia di brokeraggio, che, mediante un'intensa strategia comunicativa, condotta con tutti i media, ma orchestrata attraverso comunity on line, censisce e soddisfa , in real time, i fabbisogni altalenanti dei suoi utenti. Selezionando e acquisendo quote di energia dai più diversi produttori, sparsi sul territorio.In questi ultimi 5 anni le energie rinnovabili hanno fatto la parte del leone, per competitività e , anche, per le esplicite richieste degli utenti.
Ma addirittura nella liberista California si sta espandendo un fenomeno come il Energy Coperative development program (www.energy-co-op.net) che ha come mission supportare i consumatori che si autonomizzano dai servizi privati, aiutandoli ad organizzare cooperative e sistemi energetici sussidiari.varia è la gamma degli aderenti, fra cui numerose sono le piccole aziende o gli studi professionali e i laboratori che si autorganizzano.Diffuso il fenomeno nell'agricoltura. Nella stessa California La California Elettric User Coperative che associa aziende agricole per la produzione di energia rinnovabile.
Persino nella metropoli per antonomasia, quale è New York comincia a serpeggiare la tendenza a mettersi in proprio. Alla fine degli anni '90, all'annuncio dell'ennesimo aumento dei costi del servizio privato, nacque la Rochedale Coperative Group Inc. che oggi serve più di 50.000 appartamenti .Il gruppo gestisce sistemi di co generazione e di diffusione di energie rinnovabili mediante il suo network denominato Green Apple.
Anche a Chicago si comincia a cooperare nel campo energetico con la Comunity Energy Coperative,promossa da una estesa comunity organizzata dall'associazione no profit Center for Neighborhood Technology. In altre citta americane, come Washington e Filadelfia si stanno lanciando analoghe esperienze. Un fenomeno che secondo tutti gli esperti dovrebbe accelerare proprio in coincidenza con l'accelerazione della miniaturizzazione tecnologica e dell'incremento della potenza produttiva delle fonti rinnovabili.
La disponibilità tecnologica delle energie rinnovabili, si incontra con i limiti del sistema tradizionale che non è più in grado di sostenere l'inclusione nel mercato di nuove popolazioni.
Il modello di sviluppo intensivo, basato su produzioni di massa e consumi standardizzati, guidati da pochi produttori è ormai in affanno. In particolare nel settore energetico. L'irrompere sulla scena di masse di grande entità, come le nuove borghesie cinesi e indiane, sta già facendo saltare tutti i parametri economici.
La prova del 9
Se davvero volessimo raggiungere entro il 2050, come tutte le proiezioni delle agenzie internazionali di analisi economica ci impongono, la piena inclusione della popolazione terrestre nel mercato elettrico,dando ad ogni abitante del pianeta l'accesso alla quota di chilowattora minima per sopr5avvivere,significherebbe che dal 2012 dovremmo allacciare alla rete elettricaq globale circa 100 milioni di nuovi utenti all'anno. Per assicurare ai nuovi cittadini dell'elettricità la potenza equivalente al consumo media dei cittadini americani nel lontanissimo 1950 Jeremy Rifkin nel suo libro Economia dell'Idrogeno (Mondadori ed) calcola che sarebbe indispensabile produrre già da oggi il quadruplo dell'energia distribuita. Ossia, dice Rifkin ,citando il rapporto dell'Elettric Power Research Institute,che sarebbe necessario mettere in rete ogni due giorni dall'inizio del 2000 per i prossimi 50 anni, un impianto di generazione da 1000 megawatt.E, si aggiunge, per limitare alla soglia di non degenerazione strutturale, il conseguente inquinamento dell'ecosistema, almeno il 50 % di questi generatori dovrebbero basarsi su fonti rinnovabili. Con una spesa non inferiore ai 150 miliardi di dollari anno.
Sono cifre che ci fanno comprendere come vicino sia il capolinea delle fonti fossili. E sopratutto, questo è il vero nodo, come insostenibile, oltre ogni retorica sia il vecchio modello di produzione e consumo, basato su una filiera verticale di produzione centralizzata.
Cambiare il modello significa mutare, radicalmente la filosofia operativa e sopratutto la dinamica degli scambi. Signifca stravolgere l'idea stessa di impresa energetica.
Il sole è il primo Pubblic Common
La questione centrale, a questo punto, non risiede soltanto nel comune riconoscimento culturale della necessità del cambiamento. Il punto è constatare che non si sopravvive alle dinamiche che abbiamo sommariamente indicato, con un meccanismo di distribuzione di risorse che vengono stoccate e prelevate centralmente da pochi sistemi proprietari.
Sopratutto non si sopravvive se l'umanità non trova il modo di riorganizzare, con la massima efficienza, il proprio sistema di vita sulla base dell'abbondanza delle risorse e non più sulla base di unas penuria che richiede una mercantilizzazione esasperata, per poter distribuire i beni scarsi.Si pone così all'ordine del giorno del mercato il tema dei “public commons”, dei beni comuni, in quanto tali indisponibili all'esaurimento, o alla riduzione a beni privatizzabili ,sottratti al pubblico dominio,che presuppongono invece pratiche sociali che li preservino anche per la disponibilità delle future generazioni.
E' questo il tema che la pratica globale della rete ha proposto all'ordine del giorno dell'economia mondiale.
Sapere ed energia sono oggi i due banchi di prova di questa gigantesco laboratorio.
Il riconoscimento dei beni comuni può avvenire se disponiamo di uno sguardo capace di coglierne la struttura coerente all'interno dei processi che la comunità umana sta vivendo su questa piccola terra in questo passaggio di millennio.
Non si tratta di condividere un' emozione, ma di maturare la consapevolezza che l'unica soluzione per un'unica comunità attiva , che coincida con l' ìntera popolazione del pianeta, reclama , per lo sviluppo oltre che per la sopravvivenza, una nuova, moderna, ed efficacie strategia di valorizzazione delle risorse abbondanti. Risorse che, come il sapere e oggi l'energia, non sono antagoniste, ossia non sono contendibili da una pluralità di utenti che devono sottrarle gli uni agli altri per poter ne beneficiare, ma solo incrementabili con l'uso, come è appunto oggi il sapere cooperativo, e come sta già manifestando la sua magia, l'energia comunitaria da fonti rinnovabili.
Solo questo riconoscimento può costituire un denominatore comune per una relazione tra le differenze politiche, economiche, culturali, etniche e religiose, che non sia a somma zero per la specie umana.
Perché il futuro è oggi, sono le azioni e le scelte che decidiamo di fare alla luce della conoscenza di cui disponiamo, della sua qualità e della sua coerenza con il vivente tutto..
Gli uomini, figli dell'affanno individuale, del potere terreno del sacro e poi delle ideologie, hanno faticato a riconoscere i beni comuni come tali. Una ulteriore difficoltà è legata al riconoscimento dei beni comuni come condizione essenziale per la vita del vivente, umano e non, sulla terra.
Ci occorre, sulla base di un nuovo sguardo epistemologico, spirituale ed esistenziale, adeguato a vedere e riconoscere i beni comuni, una nuova teoria e sopratutto, una nuova pratica economica del benessere come dimensione condivisa e raggiungibile in quanto condivisa.
Questo inizio di millennio sembra un pettine al quale sono arrivati i nodi critici di un modello di sviluppo energivoro, dei problemi drammatici che già oggi il cambiamento climatico prefigura e della logica speculativa del “denaro da denaro”, peraltro nominale.
Una nuova consapevolezza inizia ad emergere come necessità: noi non ci salveremo per reazione a un disastro più grande degli altri, noi ci salveremo in virtù di una scelta di valore.
Ciò che cambia oggi è il contesto relazionale che interessa il genere umano e la relazione tra genere umano e il vivente tutto.
La Rete non è un supporto informativo che succede al telegrafo, al telefono, alla radio, al televisore, al calcolatore elettronico, la sua natura interattiva e la sua pervasività, la convergenza e la tracciabilità del/nel mondo digitale, con o senza fili, la configurano come un sistema di comunicazione e di conoscenza.
La rete si presenta come una estensione delle relazioni sociali, con una potenzialità elaborativa mai conosciuta prima nella storia dell'umanità. La rete digitale non è un mondo parallelo ma un'estensione del mondo relazionale e informazionale della nostra società, si presenta come un sistema relazionale con potenzialità mai conosciute fino ad ora dall'umanità, uno spazio pubblico illimitato.
Come bene ci spiega Manuel Castells, che abbiamo già incontrato nel nostro libro,nella sua trilogia sulla Società in rete (Bocconi editore), l'informazionalismo è oggi la produzione di informazioni tramite informazioni”, e così pure le nuove energie sostenibili sono energia sociale (fotovoltaica) prodotta tramite energie sociali ( la cooperazione).
Oggi possiamo dire che siamo ormai in vista di una sintesi fra i processi di autoriproduzione della conoscenza e di diffusione dell'energia rinnovabile. Un processo che si sta consegnando una nuova straordinaria risorsa per lo sviluppo: la conoscenza rinnovabile.
Internet, con le sue potenzialità di calcolo, la connessione senza fine di nodi, la non conoscenza di confini, costituisce una impresa cognitiva collettiva.
Il sole con l'infinita disponibilità di combustione globale gestibile è il primo pubblic commons che l'uomo ha visto al suo apparire sul pianeta.
L'altruismo come egoismo illuminato “so di essere parte di una comunità e se la comunità sta
meglio sto meglio anche io”. Questa etica della responsabilità, questa consapevole reciprocità con il
vivente, è il senso che vogliamo ritrovare nelle pratiche della nostra vita abbandonando
l'atteggiamento egoistico dove ogni cellula/individuo va per suo conto, magari seguendo dettami
prescrittivi, recuperando un atteggiamento cooperativo, immettendo informazioni coerenti nelle
cellule e negli individui affinché il sistema da malato diventi sano. Il riconoscimento di una
coerente dimensione pubblica richiede una relazione con gli interessi privati, una partecipazione
informata produce una consapevolezza e una responsabilità condivise dove la dimensione pubblica rispetta la sfera della dimensione privata in relazione alle scelte che ad essa appartengono.
Noi animali umani siamo un network cognitivo nel rapporto mente/corpo, con una coscienza
profondamente incarnata che, laddove in condizione di accedere, condividere, produrre conoscenza
in condizioni pluralistiche e non preclusive, è in grado di vedere le cose in modo diverso e quindi
comportarsi in modo differente dalla compulsività consumistica di un modello di sviluppo
quantitativo illimitato.
La crisi economico-finanziaria che in questi ultimi anni ha falcidiato le speranze di almeno due generazioni del mondo considerato più avanzato, constatiamo che è stata indotta dal comportamento egoistico di pochi , che sono riusciti ad imporre ai molti il loro modo di vivere.
La reazione si sta concretizzando in una diffusa domanda per il cambiamento dei consumi e dei costumi per rendere possibile uno sviluppo sostenibile e compatibile, esprime una visione nei confronti di noi stessi e dell'ambiente come bene/senso comune, ciò costituisce il rimedio possibile.
Per fronteggiare i nodi che sono venuti al pettine di questa nostra piccola terra dobbiamo curare le
cause, non i sintomi: l'ostacolo è costituito dal paradigma scientifico riduzionista combinato con
l'approccio utilitarista unilaterale, che riducono i beni comuni a risorse proprietarie contendibili.
Il rinascimento della spiritualità, al di là della formalizzazione nelle/delle religioni, al di là del riduzionismo quantitativo, ci consentirà delle scelte di valore capaci di riferirsi agli interessi
generali di queste e delle future generazioni, quindi di considerare i beni comuni come diritti
costitutivi inalienabili. La differenziazione culturale e biologica deve tornare ad essere la condizione normale e non l'eccezione residuale.
We know come motore dello sviluppo
Occorre una disponibilità piena delle risorse e delle opportunità della società della conoscenza
digitale in luogo della ripetizione cieca e compulsiva di un modello dissipativo di risorse, di
possibilità, di vita, di diritti e di democrazia, così simile al comportamento delle cellule staminali
tumorali mutate, bloccate nella loro capacità di differenziazione, così costrette solo a moltiplicarsi.
l'unica eccezione dell'universo è l'umanità, siamo parte di una unità più grande, l'universo è coerente
e noi dobbiamo ritrovare questa coerenza: occorre una evoluzione della coscienza per creare le
condizioni per iniziare un viaggio nella consapevolezza .
L'energia è l'hardware, l'informazione è il software, il campo unificato è un campo di informazione,
l'universo non è solo materia e spazio: lo spazio è u campo unificato che contiene anche la materia e
la materia è il collegamento occorre ritrovare coerenza tra umanità e biosfera, occorre una visione
olistica c'è un rischio di improduttività nel riduzionismo specialistico, per dare senso ai fenomeni
che ricostruiamo occorre intrecciare la ricerca specialistica con il mondo nel quale viviamo, dare
senso attraverso il mondo personale: noi siamo le nostre informazioni noi siamo i nostri geni.
Il riduzionismo è pericoloso perché isola un pezzo della persona o della esperienza sociale e
produce cattive regole: le reti della conoscenza sono un elemento che va considerato nella sua
complessità.
L'uomo-macchina che può essere smontato e riparato? Ci affacciamo a vetrine virtuali di “body
shop”? Perché una donna deve ritenere di non poter sfuggire al proprio destino procreativo?
Quale è il senso che c'è dietro a tutto questo?
Le reti informatiche come reti neuronali con una analogia sostitutiva dell'identità costruita
attraverso il comportamento in reti con l'uso di tecniche probabilistiche che riducono le compresse
costruzioni libere della personalità. “Brain computer interface”senza i corpi, una continua
costruzione di luoghi/reti di relazione sociale che può ridurre la libera espressione della personalità
ai dati che si ricavano dalle reti stesse.
Internet 4.0 è l'intreccio tra le cose che facciamo e ciò che fanno le cose. La pervasività digitale
consente una tracciabilità predittiva rispetto alle nostre possibili scelte.
Possiamo avere un uso consapevole e dignitoso della società informazionale solo con un fortissimo
riferimento alla vita, che è complessa e irriducibile e non può essere regolata attraverso una
scomposizione dei dati di realtà: c'è una differenza irriducibile tra computazione e comprensione.
L'accesso all'informazione in una società dove la conoscenza è l'elemento centrale non può essere
un atto e una produzione individuale, esso costituisce una precondizione per un uso consapevole ed
una informazione partecipata. La possibilità di accedere alle informazioni per accedere alla
complessità delle questioni che ci riguardano implica il compito pubblico di produrre una
cittadinanza consapevole nei confronti della scienza e delle sue produzioni possibili rispetto alla
vita. E' una consapevolezza necessaria è una questione democratica.
Occorre una consapevolezza che ci consenta una dichiarazione di emergenza globale, la cura risiede
nella via cooperativa per ritrovare coerenza informazionale tra uomini e biosfera.
Una consapevolezza che passa per la ricomposizione dell'unità tra coscienza e materia, tra mente e
corpo attraverso una visione complessa “tessuta insieme”, per un nuovo senso comune.
Noi siamo intessuti assieme con il resto del vivente continuamente: quando agiamo su/in un sistema
complesso questo reagisce attraverso una sua propria vitalità. Possiamo smontare e rimontare un
motore così come un orologio ma non un organismo vivente, il quale vive nel suo ambiente
relazionale. Un elemento di un organismo, preso singolarmente, non è quell' elemento. Ogni
elemento riceve informazioni da tutti gli altri e comunica con essi all'interno di domini di coerenza,
come proponeva Bateson “l'informazione è la differenza che fa la differenza”.
E' necessario dare informazioni adeguate (concetti, parole, gesti, atti, decisioni pubbliche, pratiche
private) affinché un sistema complesso si metta in movimento secondo una certa direzione e con
una sufficiente inerzia.
Ogni ecosistema, come ogni organismo è un sistema attivo che evolve attraverso e in seguito ad informazioni.
Dove c'è armonia e coerenza tra le parti di un sistema complesso, tanto nei sistemi biologici che in
quelli antropologici, così nella relazione tra queste due sfere, lì si hanno le condizioni per la
biodiversità e la multiculturalità: queste sono le condizioni che ci dispongono all'illuminazione, così
si genera bellezza.
Questa condizione propone in forme nuove la conoscenza, la propone come bene comune.
Nel corso dei millenni ogni evoluzione umana è stata legata a percorsi informazionali, che hanno consentito contaminazioni e, quindi, nuove combinazioni, questo è valso nella sfera biologica sia per le colture che per le pratiche terapeutiche.
Di più, è valso per le religioni, come per le culture, attraverso i diversi linguaggi espressivi artistici.
Oggi, questi percorsi e questi scambi informazionali conoscono una condizione straordinaria in Rete perché in Rete i contenuti non conoscono la scarsità ed un numero illimitato di persone può contribuire al loro sviluppo con una relazione evolutiva incrementale.
Nel “mondo materiale” ogni contenuto è legato al proprio supporto, che sia un libro o un CD musicale, se il possessore di un contenuto/supporto lo cede a qualsiasi titolo, lo rivende o lo presta o lo regala, in ogni caso lui non disporrà più di quel Contenuto/supporto.
Se lo stesso contenuto viene messo nella rete digitale interattiva il contenuto è a disposizione di un numero illimitato di persone.
Le caratteristiche di interattività, non scarsità e viralità della Rete cambiano per la prima volta non solo le condizioni del mercato cartaceo e audiovisivo, è l'idea stessa di conoscenza che diventa una funzione sociale non più esclusiva.
Nella Società della Conoscenza Rinnovabile la produzione di valore cambia, la natura del lavoro, la natura della produzione, sono chiamate in causa in modo non rinviabile dalla dimensione digitale, con la sua pervasività, la sua interconnessione e la sua interazione.
L’innovazione tecnologica nell’era digitale interessa tanto il prodotto quanto il processo, la dimensione cognitiva del lavoro diviene così centrale nella produzione di valore anche nei processi di innovazione che interessano settori maturi.
Il lavoro cognitivo mette in discussione i parametri quantitativi quali quelli legati allo sforzo fisico e/o al tempo impiegato: entra in gioco la dimensione soggettiva e la centralità delle persone, qui il consumatore partecipa direttamente alla definizione del prodotto.
Dai contenuti audiovisivi alla modificazioni delle soluzioni del design è esaltata la modalità concorsuale collettiva nella produzione creativa del lavoro cognitivo, con processi di relazione assolutamente diversi da quelli lineari.
La conoscenza e la sua condivisione sono condizioni costitutive per la produzione di valore cognitivo e prevedono l’apertura evolutiva a modalità e a codici espressivi imprevedibili: risulta perciò necessario operare scelte tecnologiche e normative tali da non precludere futuro, dobbiamo imparare ad avere una cultura dell'inaspettato.
I nodi critici venuti al pettine all'inizio di questo terzo millennio sono in gran parte figli della separazione e anche della antinomia tra sapere e sapienza, cioè tra la dimensione calcolabile e codificata del lavoro cognitivo e quella legata a pratiche ed esperienze dell'attività umana la cui efficacia era verificata nella quotidianità di comunità.
La Rete permette di condividere le informazioni e le pratiche e i prodotti ad esse legate. La viralità della Rete e non la sua presunta virtualità, avvicina le riflessioni ed il racconto alle pratiche cui si riferiscono fin quasi ad annullare il distacco, risultando perciò propedeutica proprio all'incontro e alla condivisione di pratiche e ad una feconda ricomposizione del rapporto tra sapere e sapienza.
E' la società della conoscenza, digitale, interattiva, convergente e pervasiva che consente questa ricomposizione, un'estensione del sistema di relazione sociale, un ecosistema cognitivo a carattere virale nel quale gli sguardi e i paradigmi, le modalità di produzione e di scambio di contenuti sono di natura informazionale.
Essere in rete, produrre a rete
In questa relazione olistica troviamo oggi la concretizzazione della domanda suggestiva che, in Mind and Nature proponeva Gregory Bateson: “Quale struttura connette il granchio con l'aragosta, l'orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l'ameba da una parte e con lo schizofrenico dall'altra?” (Bateson, 1979).
La conoscenza, quindi, la sua acquisizione da parte di ognuno con i suoi percorsi culturali ed empirici come parte di una conoscenza più ampia prodotta dalla relazione informazionale del vivente tra sfera biologica ( a partire dalla dimensione cellulare) e sfera antropologica (a partire dal rapporto tra pensiero ed evoluzione).
Nell'era digitale, nella società della conoscenza rinnovabile il vero capitale è costituito dalle persone e dalla loro qualità, fatta di esperienza, impegno, idee e, sopratutto, modalità relazionali. E' comprensibile che di fronte ad una sollecitazione così profonda dei nostri modelli di relazione sociale e di sviluppo prendano corpo, con consapevolezza o meno, approcci di natura omeostatica a salvaguardia di un sistema che ci accompagna da secoli.
Sono reazioni di natura normativa e tecnologica finalizzate a ripristinare le condizioni di scarsità relativamente ai contenuti informazionali scambiati e scambiabili in rete.
I sistemi di Digital Right Management, la criminalizzazione dello scambio tra pari, il Peer to Peer, insieme a modelli di marketing che consentono un accesso illimitato ai contenuti di cui dispone una società a condizione dell'esclusività del rapporto di abbonamento produttore/consumatore, pur se comprensibili appaiono come responsabili di una dissipazione cognitiva enorme. Fidelizzazione come costrizione, se non puoi recintare i “commons” recinta gli utilizzatori.
I latifondisti del copyright e dei servizi di accesso ai contenuti configurano, secoli dopo, una nuova “tragedia dei Commons”. Abbiamo alcuni esempi delle potenzialità di questa condivisione partecipata della conoscenza. Il primo è “Wikipedia” l'enciclopedia in rete cui concorrono, collaborano, interagiscono e definiscono le modalità e le regole della collaborazione milioni di persone. L'efficacia di questa produzione cognitiva collettiva gratuita è verificabile da chiunque. Il grande merito di questa esperienza è stato quello di proporre, sul piano della condivisione dei contenuti e in modalità aperta, il modello già sperimentato con successo, anche imprenditoriale, dalle “comunità dei pinguini” – le comunità linux - del software libero, con il loro esercizio della cultura del dono. Una pratica che, attraverso la condivisione del dono, scommette sullo sviluppo e sulla diffusione di una cultura della reciprocità, non facendone una precondizione da negoziare attraverso modalità quantitative.
Un'altro esempio significativo è costituito dai “civic networks” dalle reti civiche, precursori dei “social networks” planetari.
Le esperienze di partecipazione informata ai processi di pianificazione pubblica, nella gestione delle risorse e nell'uso del territorio come l'Agenda 21on-line (il programma delle nazioni unite per lo sviluppo sostenibile), sviluppano un' opinione pubblica avvertita. E' evidente che una partecipazione informata non mette in discussione le prerogative di rappresentanza della politica popolare come definita dalle specifiche carte costituzionali.
E' altresì evidente che attraverso la Rete si crea una necessità di giustificazione e di trasparenza degli indirizzi istituzionali.
Ciò ha delle conseguenze importanti sul piano del consenso e delle forme della partecipazione politica, si pensi alla campagna elettorale di Barak Obama e al prosieguo delle iniziative di comunicazione e relazione del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.
Non si può dire che la maggioranza dei sistemi politici e degli esponenti politici che in essi operano abbiano lo stesso sguardo e lo stesso approccio. Prevalgono la preoccupazione per una partecipazione informata e diretta alle vicende locali e globali del pianeta insieme al tentativo di ricondurre tutta questa improvvisa autonomia ad una subordinazione controllata. Nel nome della lotta alla contraffazione, piuttosto che della lotta al terrorismo, della lotta alla pornografia o della necessaria “conformità alla morale socialista”, non solo i regimi autoritari, ma anche quelli democratici occidentali provano ad utilizzare la pervasività digitale come possibile tracciabilità assoluta.
Marshall McLuhan, con Gi strumenti del comunicare (McLuhan, 1968), propose uno sguardo nuovo definendo “il medium” con la sua natura relazionale come “il messaggio” della comunicazione. E' significativo che McLuhan concludesse quella pubblicazione con questa considerazione “...gli schemi sociali e didattici insiti nell'automazione sono quelli del lavoro indipendente e dell'autonomia artistica. La paura dell'automazione come minaccia di uniformità su scala mondiale non è che la proiezione nel futuro di standardizzazioni e specializzazioni meccaniche che appartengono ormai al passato.” McLuhan aveva la piena consapevolezza di ciò che è sotto i nostri occhi, le nostre dita e le nostre orecchie.
Oggi il medium non costituisce, in sé, il messaggio neanche il sistema interattivo di Internet, oggi il medium è la natura della relazione informazionale e sociale che si dà o meno in Rete.
I rappresentanti delle centonovantacinque tribù dell'Amazzonia in una convegno del 2004 dal titolo Condividi la Conoscenza , hanno sintetizzato con molta chiarezza il concetto di condivisione di un bene comune e di un “business model” adeguato. Parlando e partendo dal Guaranà, seguendo il percorso sapienziale che passa di padre in figlio hanno detto “ A noi popoli dell'Amazzonia non importa avere l'esclusiva, magari brevettata, sul Guaranà, per noi lo possono produrre anche in Africa, la cosa importante è che il Guaranà dell'Amazzonia sia quello prodotto con le nostre metodologie e possa essere controllato e garantito da un'apposita denominazione.”
Gli esempi richiamati sopra ci dicono che sarebbe senza senso un confronto tra “apocalittici” ed “integrati” a proposito delle aspettative e delle azioni messe in atto nella Rete. L’ambivalenza del sistema digitale interattivo è nella sua natura costitutiva va assunta per intero, essa non conferma né smentisce le potenzialità e i rischi, ma richiede una nuova modalità di definizione di una politica pubblica per il bene comune della conoscenza nell’era digitale. Per questo appare parziale la definizione di “Classe Creativa” proposta da Richard Florida (Florida, 2002, 2005), i processi che interagiscono sulla Rete sono così articolati e differenziati che richiamano piuttosto la definizione Gramsciana di “blocco sociale, un blocco sociale dell'innovazione qualitativa che vive in un ecosistema cognitivo.
Solo la capacità di riconoscere profonde affinità che nelle diverse pratiche rimandano alla conoscenza come bene comune può consentire alle culture politiche e alle esperienze di politica pubblica rispondenti ad interessi generali, di queste e delle future generazioni, di confrontarsi con una realtà plurale capace di definire delle condizioni/necessità/libertà costituzionali per la rete e per le sue straordinarie opportunità.
Proviamo ad elencarne alcune.
Occorre definire in modo partecipato un welfare per la Conoscenza attraverso un patto con le nuove generazioni di lavoratori cognitivi. La definizione di uno dei fattori abilitanti per un'economia della conoscenza risiede nella riduzione e nel superamento del cultural divide per un uso della rete non solo appropriato ma consapevole. La neutralità della rete è la garanzia per il concorso competitivo per applicazioni, servizi e contenuti che si definiscono e si propongono attraverso la rete stessa.
Solo standard aperti e condivisi e l'interoperabilità garantiscono la possibilità di sviluppo qualitativo di tutte le evoluzioni tecnologiche e la possibilità per i consumatori di un pieno utilizzo della convergenza digitale con il libero trasferimento e la libera fruizione dei contenuti e dei programmi. E' la competitività e non la rendita di posizione dell'incumbent a permettere l'innovazione.
Il mondo dell'Information Technology è tutto meno che virtuale, l'”impronta dell’IT”, è pesante e dà luogo ad uno straordinario consumo di energia ed ad una incredibile quantità di rifiuti. Allo stesso tempo proprio la capacità di innovazione che gli è propria può consentirgli straordinari risparmi energetici, oltre al contributo al risparmio attraverso l'innovazione delle diverse attività, nonché la possibilità dell'uso di materiali innovativi e riciclabili.
Oggi il 90% degli articoli scientifici pubblicati è chiuso in roccaforti private con accesso a pagamento, uno strumento di controllo del sapere in mano a pochi privati: la mappatura della ricerca mondiale è uno strumento potente e pericoloso di meta-informazione. Il variegato mondo della rete deve intervenire in Europa affinché si traduca l'affermazione del Libro Verde per cui "la produzione, la diffusione e la valorizzazione delle conoscenze sono al centro del sistema della ricerca".
La separazione tra rete e servizi deve essere garantita dall'Authority delle telecomunicazioni, oltre all'obbligo di servizio pubblico che gli operatori devono garantire nelle aree disagiate, occorre una integrazione di sistema tra le reti esistenti e in previsione affinché le potenzialità della Rete costituiscano un'opportunità per ognuno.
Le misure di sostegno ed incentivo alla collaborazione devono essere centrate sullo sviluppo dell'informatica per innovare in modo efficace ed adattativo la catena di produzione del valore. Condividere i codici aperti, riusare le applicazioni, così facendo la PA può rendere visibile ed efficace la rete come impresa cognitiva collettiva.
Occorre fare incontrare credito e creatività, è necessario e virtuoso riequilibrare l'investimento pubblico e quello privato nella relazione ricerca-sviluppo-trasferimento-creazione d'impresa attraendo i capitali privati con incentivi fiscali, semplificazione delle procedure e facilità di accesso al capitale di rischio.
La libertà di un cittadino passa attraverso la sua piena disponibilità del suo corpo e delle informazioni ad esso legate, così come passa attraverso la libertà di pensiero, di scelta, di fede e delle informazioni ad esse collegate. Il cittadino nella società digitale deve essere pienamente consapevole delle possibili rilevazioni di informazioni a lui collegate e dei loro possibili usi. La definizione di “dato personale” contenuta nella legislazione italiana comprende anche l'indirizzo IP di un utente Internet, per questo in relazione a queste possibilità deve poter dare il proprio consenso informato. Ben oltre il "diritto ad essere lasciati soli" la privacy nella dimensione digitale interconnessa ha ormai assunto una funzione di significazione dei caratteri democratici di un sistema, rilevando altresì il diritto ad esprimere la piena e specifica personalità di ogni cittadino.
Occorrono nuove regole e nuovi modi di fare le regole, affinché le regole di riferimento per una policy siano efficaci fattori abilitanti per una economia della conoscenza occorre una partecipazione informata alla loro definizione da parte di tutti gli attori interessati. Fatte salve le prerogative proprie dei legislatori e delle autorità indipendenti preposte occorre che la partecipazione informata sia costante e garantita da aggregatori di sensibilità differenti.
Gli appuntamenti promossi dalle Nazioni Unite, dopo il WSIS (Summit Mondiale sulla Società dell'Informazion, http://www.itu.int/wsis/index.html ) attraverso gli Internet Governance Forum hanno visto l'avvio della definizione della "Carta dei diritti e dei doveri di Internet" di un “Internet Bill of Rights”, attraverso un processo multistakeholders e multilevel (http://www.intgovforum.org/cms/ ) .
E’ più funzionale un quadro aperto che richieda dialogo e contaminazione in luogo dell’esclusività, condizioni per la creatività in luogo della ripetitività, modelli economici e commerciali basati sull’aumento qualitativo e quantitativo del prodotto immateriale condiviso, in luogo del suo consumo ed esaurimento, la condivisione in luogo della scarsità, la responsabilità in luogo del controllo.
Fare dell’Europa “ l' economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale” entro il 2010, questo l’obbiettivo dell’”Agenda di Lisbona” del 2000 dei paesi europei (http://it.wikipedia.org/wiki/Strategia_di_Lisbona ). Occorrono garanzie costitutive per queste ambizioni e per le libertà richiamate sopra, occorrono una consapevolezza ed una cultura che le riconoscano come bisogni e che le esigano come diritti.
La funzione di riprogrammazione che nella relazione informazionale cellulare svolgono le cellule staminali e che possiamo valorizzare attraverso il paradigma della complessità, nella società può essere svolta da una politica adeguata che consideri la qualità delle relazioni sociali e i fattori che la consentono come dei beni comuni. Quindi norme ed infrastrutture per l'accesso e la condivisione della conoscenza e una partecipazione informata ai processi decisionali. Il volume che presentiamo si articola in 6 capitoli, dedicati ciascuno ad approfondire l’articolazione della tematica dei beni comuni che nella nostra visione rappresenta sia un matrice di lettura e interpretazione della complessità del contemporaneo sia individua un agenda di priorità politiche, in senso nobile, delle necessità costitutive di una comunità associata capace di futuro.
Ecco perché la definizione della Grande Milano si presenta come un’occasione ineludibile all’altezza con la storia della comunità che nei secoli ne ha definito l’identità territoriale dall’Adda al Ticino, dalle abbazie cistercensi alle ville nobiliari distribuite nella cintura fino ad arrivare alla rete ferroviaria e tranviaria che, insieme ai Navigli, disegnavano gli sviluppi del Ducato in termini oggi equivalenti a una metropoli regionale.
lunedì 26 novembre 2012
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