«Non trovo prove che gli Ogm siano più dannosi o rischiosi per l’ambiente delle coltivazioni tradizionali o di quelle biologiche»
di Elena Cattaneo Università degli studi di Milano senatrice a vita
Caro
direttore,
da mesi studio la vicenda italiana degli Ogm. Non è il mio campo specifico, ma uso altre specie transgeniche (pesci, topi o tessuti di animali di grossa taglia) per ricerche che mirano a possibili terapie per una malattia devastante come la Corea di Huntington. Sugli Ogm consulto la letteratura specialistica e colleghi tra i massimi esperti, per capire basi scientifiche, metodi di lavoro e dinamiche economico-industriali del settore. Non trovo prove che gli Ogm siano più dannosi o rischiosi per l’ambiente delle coltivazioni tradizionali o di quelle biologiche. Di certo, hanno già molto ridotto l’uso di insetticidi e l’impatto ambientale dell’agricoltura globale e, come ricordavano anche l’arcivescovo di Milano Angelo Scola e l’Accademia Pontificia, sono una risposta concreta all’esigenza di sfamare la popolazione mondiale. Penso che, in Italia, la discussione si sia impantanata, in quanto condizionata da pregiudizi ideologici e interessi di nicchia rispetto ai quali anche la più corretta informazione non riesce a incidere. Mi si dice che ci sono lobby e multinazionali interessate a spingere gli Ogm. Però a chiedermi di far sentire la loro voce favorevole sono colleghi scienziati. Vorrebbero studiarli (in campo aperto), anche per capirne meglio il potenziale e i limiti. Mi si dice che gli agricoltori italiani non li vogliono. Eppure ho ricevuto una lettera di oltre 700 di loro (firme a mano) che chiedono di seminare con piante ogm circa 30 mila ettari di terreni (più di 50 mila campi da calcio) che sono di loro proprietà. A guidarli Franco Nulli e Deborah Piovan. Espongono, con modi civili, argomenti che trovo ineccepibili sia sul piano dei fatti che su quello dei diritti. Mi spiegano poi che il 62% di tutto il mais italiano - rigorosamente non ogm - dello scorso anno è vietato al consumo umano per i livelli delle tossine fumonisine (che agli animali comunque non fanno bene). E che molti dei nostri migliori prodotti tipici sono quindi fatti usando mangimi ogm importati. Mi chiedo se non vi siano lobby e interessi commerciali «anche» tra coloro che non vogliono gli Ogm. Se qualcosa cambierà (in tempi utili perché una sfida come Expo 2015 - centrato sulla nutrizione - possa giovare al Paese) sarà attraverso un’azione che parta direttamente dall’imprenditoria agricola. La scienza ha fatto la sua parte. Una pubblicazione del 2013, firmata anche da Fabio Veronesi che è presidente della Società italiana di genetica agraria, aggiorna le prove sperimentali ottenute in laboratori pubblici, giungendo alle stesse conclusioni di un eccellente documento sottoscritto già dieci anni fa dalle principali accademie scientifiche italiane. In sintesi: gli Ogm sono sicuri e vantaggiosi per la salute e l’ambiente. Si rimane in attesa di prove che mostrino l’eventuale dannosità. Ovviamente, devono essere pubblicate su riviste peer review (sottoposte a un processo di revisione paritaria, ndr). Giudico poco interessanti le opinioni personali. Viceversa, la competizione tra scienziati e tra riviste garantisce un’incontestabile trasparenza. Dati edulcorati o falsati non sopravvivono alla prova della valutazione mondiale. Dimostrazione ne è il caso del ricercatore francese che aveva diffuso dati falsi sulla pericolosità degli Ogm e che ha dovuto poi ritirare quel lavoro. Ecco perché non trovo razionale invocare il «principio di precauzione» per vietare la coltivazione di Ogm. Non innovare, quando farlo significa miglior sicurezza, qualità e raccolto (con prove verificabili) significa paralizzare ogni attività di ricerca in qualsiasi campo. Come senatrice, ma come cittadina ancora di più, vorrei vedere coinvolte le istituzioni in un’ampia discussione «sui fatti» che possono giustificare il divieto o meno di fare ricerca e coltivare Ogm. Al di là di brevetti e multinazionali. Nella loro lettera gli agricoltori chiedono «solo» di concorrere, con l’aiuto degli scienziati italiani, a rilanciare il proprio settore e di conseguenza l’economia e l’occupazione di un comparto che rappresenta il futuro della ricerca mondiale. Spero che in primis il ministro delle Politiche agricole, ma anche tutto il governo li ascoltino.
da mesi studio la vicenda italiana degli Ogm. Non è il mio campo specifico, ma uso altre specie transgeniche (pesci, topi o tessuti di animali di grossa taglia) per ricerche che mirano a possibili terapie per una malattia devastante come la Corea di Huntington. Sugli Ogm consulto la letteratura specialistica e colleghi tra i massimi esperti, per capire basi scientifiche, metodi di lavoro e dinamiche economico-industriali del settore. Non trovo prove che gli Ogm siano più dannosi o rischiosi per l’ambiente delle coltivazioni tradizionali o di quelle biologiche. Di certo, hanno già molto ridotto l’uso di insetticidi e l’impatto ambientale dell’agricoltura globale e, come ricordavano anche l’arcivescovo di Milano Angelo Scola e l’Accademia Pontificia, sono una risposta concreta all’esigenza di sfamare la popolazione mondiale. Penso che, in Italia, la discussione si sia impantanata, in quanto condizionata da pregiudizi ideologici e interessi di nicchia rispetto ai quali anche la più corretta informazione non riesce a incidere. Mi si dice che ci sono lobby e multinazionali interessate a spingere gli Ogm. Però a chiedermi di far sentire la loro voce favorevole sono colleghi scienziati. Vorrebbero studiarli (in campo aperto), anche per capirne meglio il potenziale e i limiti. Mi si dice che gli agricoltori italiani non li vogliono. Eppure ho ricevuto una lettera di oltre 700 di loro (firme a mano) che chiedono di seminare con piante ogm circa 30 mila ettari di terreni (più di 50 mila campi da calcio) che sono di loro proprietà. A guidarli Franco Nulli e Deborah Piovan. Espongono, con modi civili, argomenti che trovo ineccepibili sia sul piano dei fatti che su quello dei diritti. Mi spiegano poi che il 62% di tutto il mais italiano - rigorosamente non ogm - dello scorso anno è vietato al consumo umano per i livelli delle tossine fumonisine (che agli animali comunque non fanno bene). E che molti dei nostri migliori prodotti tipici sono quindi fatti usando mangimi ogm importati. Mi chiedo se non vi siano lobby e interessi commerciali «anche» tra coloro che non vogliono gli Ogm. Se qualcosa cambierà (in tempi utili perché una sfida come Expo 2015 - centrato sulla nutrizione - possa giovare al Paese) sarà attraverso un’azione che parta direttamente dall’imprenditoria agricola. La scienza ha fatto la sua parte. Una pubblicazione del 2013, firmata anche da Fabio Veronesi che è presidente della Società italiana di genetica agraria, aggiorna le prove sperimentali ottenute in laboratori pubblici, giungendo alle stesse conclusioni di un eccellente documento sottoscritto già dieci anni fa dalle principali accademie scientifiche italiane. In sintesi: gli Ogm sono sicuri e vantaggiosi per la salute e l’ambiente. Si rimane in attesa di prove che mostrino l’eventuale dannosità. Ovviamente, devono essere pubblicate su riviste peer review (sottoposte a un processo di revisione paritaria, ndr). Giudico poco interessanti le opinioni personali. Viceversa, la competizione tra scienziati e tra riviste garantisce un’incontestabile trasparenza. Dati edulcorati o falsati non sopravvivono alla prova della valutazione mondiale. Dimostrazione ne è il caso del ricercatore francese che aveva diffuso dati falsi sulla pericolosità degli Ogm e che ha dovuto poi ritirare quel lavoro. Ecco perché non trovo razionale invocare il «principio di precauzione» per vietare la coltivazione di Ogm. Non innovare, quando farlo significa miglior sicurezza, qualità e raccolto (con prove verificabili) significa paralizzare ogni attività di ricerca in qualsiasi campo. Come senatrice, ma come cittadina ancora di più, vorrei vedere coinvolte le istituzioni in un’ampia discussione «sui fatti» che possono giustificare il divieto o meno di fare ricerca e coltivare Ogm. Al di là di brevetti e multinazionali. Nella loro lettera gli agricoltori chiedono «solo» di concorrere, con l’aiuto degli scienziati italiani, a rilanciare il proprio settore e di conseguenza l’economia e l’occupazione di un comparto che rappresenta il futuro della ricerca mondiale. Spero che in primis il ministro delle Politiche agricole, ma anche tutto il governo li ascoltino.
Ogm, così rispondo a Elena Cattaneo
Lettera
aperta alla senatrice sulla risoluzione approvata al senato
nella sua lettera al direttore del Corriere della Sera lei esprime l’esigenza che vengano «coinvolte le istituzioni in un’ampia discussione «sui fatti» che possono giustificare il divieto o meno di fare ricerca e coltivare Ogm», raccogliendo la sollecitazione di 700 agricoltori e molti scienziati. Vorrei informarla del fatto che proprio la camera alta nella quale lei siede, ha promosso, nella XIII legislatura a cura della commissione agricoltura, una ampia e plurale indagine conoscitiva sugli Organismi geneticamente modificati. La relazione finale all’assemblea è stata approvata all’unanimità con un astenuto.
Lei sostiene che gli Ogm «sono una risposta concreta all’esigenza di sfamare la popolazione mondiale». Il senato allora non ritenne che quella fosse l’esigenza dell’industria transgenica in quanto «un altro aspetto dell’attività delle aziende dell’industria delle biotecnologie riguarda la definizione di invenzione di geni e principi attivi, presenti negli organismi viventi animali e vegetali, riprodotti industrialmente o comunque modificati, con conseguente brevettazione e sottrazione alla libera disponibilità. Si configura così un monopolio e una privatizzazione delle conoscenze e un rapporto di dipendenza univoca da parte degli agricoltori; ne deriva inoltre che le popolazioni che, con la loro presenza e attività, hanno preservato patrimoni naturali contenenti geni e principi attivi brevettati, non ne dispongono più liberamente. Il fine delle multinazionali monopolistiche della biotecnologia è quindi strettamente imprenditoriale, mentre compete a strutture pubbliche verificare la sostenibilità ambientale, sociale, e le implicazioni sulla salute dei consumatori. Infatti, non è detto che un fine imprenditorialmente legittimo, a parte l’aspetto monopolistico, corrisponda agli interessi generali, al bene comune».
Lei si chiede «se non vi siano lobby e interessi commerciali “anche” tra coloro che non vogliono gli Ogm». Certamente sono decine e decine di migliaia le aziende che puntano su un’agricoltura di qualità legata alle varietà dei cultivar, ai presidi delle biodiversità e dei territori. È un problema o è la specifica ricchezza competitiva italiana anche per l’Expo 2015? Lei afferma che «In sintesi: gli Ogm sono sicuri e vantaggiosi per la salute e l’ambiente» mentre l’indagine del senato ha rilevato che «È stata poi segnalata l’insufficiente chiarezza circa gli obbiettivi della valutazione del rischio. Si è riscontrata l’assenza di studi preventivi dell’impatto sugli ecosistemi dei fenomeni di ibridazione tra piante transgeniche e non. È stata confermata la debolezza italiana nella ricerca, messa ancora più a rischio dalla natura monopolistica delle imprese del settore che detengono i brevetti. Si è configurata la sostanziale assenza di una azione concertata tra politiche economiche, sanitarie, agro-alimentari, ambientali, della ricerca scientifica e tecnologica». Lei non trova razionale «invocare il “principio di precauzione” per vietare la coltivazione di Ogm».
Il senato invece lo ha proposto anche su scala europea perché «se si parla della natura costitutiva della vita, la cautela metodologica e una decisione consapevole non possono che essere le conseguenze logiche di una etica della responsabilità verso il vivente attuale e futuro: la politica pubblica è tale solo se risponde a interessi generali, ai quali gli interessi particolari ancorché legittimi si devono adeguare. La ricerca sugli Ogm apre prospettive di notevoli potenzialità nel campo medico ed alimentare, dai farmaci ai trapianti. Essa presuppone che al suo governo concorrano sia i momenti della produzione, sia le istituzioni pubbliche a garanzia degli interessi generali».
Lei propone di coltivare Ogm «Al di là di brevetti e multinazionali». La questione invece va affrontata perché il vivente e la conoscenza sono dei beni comuni e come tali devono essere preservati senza alcuna brevettazione. Nessuno mette in discussione la sua libertà di ricerca come scienziata, ma tocca alla politica pubblica decidere quali risultati siano utili. Lei è stata nominata senatrice a vita dal presidente della repubblica e i suoi colleghi per una legislatura dalle segreterie di partito. Ognuno di voi deve avere la consapevolezza che la politica pubblica è tale quando risponde agli interessi generali di queste e delle future generazioni.
Le allego la risoluzione approvata dal Senato da cui ho tratto le controdeduzioni ai suoi argomenti.
Caro Cortiana, basta allarmi sugli Ogm
Fare
una battaglia affinché tutti i derivati da Ogm abbiano con una
specifica etichetta che informi il consumatore è giusto
Gentile
onorevole Cortiana, trovo sempre interessante e utile leggere cosa
pensavamo nel secolo scorso della tematica degli Ogm, a ridosso degli
eventi di maggior tensione internazionale su tale tematica come le
manifestazioni di Seattle del 1998. È utile anche rileggere dagli
archivi lo studio di quella Commissione del 1999 che, di tutta
evidenza, non è esattamente un testo sacro. Oltre ai passaggi che
lei cita nell'articolo su Europa
io
vi leggo anche altri concetti cari a molti.«Per prodotti che si preoccupano di curare la terra e l’uomo, è indispensabile utilizzare le metodologie condivise della medicina moderna relative all’efficacia dei farmaci. È noto, infatti che da tempo si è passati dall’osservazione empirica ai metodi della ricerca sperimentale, che prevedono quattro fasi di valutazione per accertare la qualità, l’affidabilità, la sicurezza e l’etica del trattamento: quindi conoscenza del composto prescelto, controllo su eventuali effetti dannosi, quali tossicità, mutagenesi (modificazioni del patrimonio genetico), conoscenza della dose massima tollerata, degli effetti indesiderabili, del metabolismo, della eliminazione, verifica dei risultati clinici, cioè dell’efficacia clinica, consenso informato delle persone sottoposte allo studio».
A me pare che su questo punto le competenze scientifiche mie e di altri colleghi potrebbero essere una risorsa utile da applicare nel campo dell’alimentazione e delle coltivazioni.
Su questo aspetto, nelle conclusioni del documento il governo (era quello di Giuliano Amato) si impegnava a definire delle trasparenti etichettature dei prodotti Ogm che raggiungono i consumatori (punto 8) oltre ad adottare (punto 9) le stesse pratiche adottate dai farmaci in modo che il consumatore possa assumere «decisioni consapevoli».
Ecco, me pare che in questi 15 anni (dei venti complessivi dalla commercializzazione del primo derivato di alimento Ogm, un pomodoro) a fronte di nessun danno alla salute del consumatore, accertato, documentato o pubblicato da serie riviste scientifiche o da autorità scientifiche internazionali, lo stesso consumatore non è stato in alcun modo avvisato di cosa stava effettivamente consumando. Vorrei fare alcuni esempi di tale disinformazione.
I colleghi che lavorano sull’argomento specifico mi informano che il 70% del cotone mondiale deriva da Ogm e che non esiste – per quanto di loro conoscenza – un cotone non-Ogm negli ospedali o negli ambulatori italiani e nemmeno nei cerotti che acquistiamo. Quindi un cotone, mediamente per 70% Ogm entra da decenni in contatto col sistema immunitario di quasi tutti i cittadini del pianeta senza che – per quanto noto – ci sia mai stata una singola reazione allergica ad un tale tipo di Ogm. Il consumatore palesemente non è stato informato, gli organi sanitari hanno scelto, valutato e deciso e la loro decisione si è palesemente dimostrata corretta.
Lo stesso dicasi per le decine di derivati da Ogm autorizzati per il consumo, anche umano oltre che zootecnico, che è possibile commercializzare in Europa e in Italia. Uno di questi erano degli olii di colza Ogm, autorizzati al consumo anche umano nell’estate del 2000 dallo stesso governo Amato. Inoltre un derivato di un animale nutrito con Ogm non riporta alcuna etichetta che ne informi il consumatore e qui stiamo parlando non di prodotti nascosti tra gli scaffali dei discount, ma dei prodotti Dop ed Igp di maggior qualità commercializzati in Italia ed esportati in tutto il mondo per il (giusto) vanto del paese.
Anche per quanto riguarda la soia è opportuno ricordare che l’Italia produce meno del 10% della soia che utilizza. Significa che il 90% è d’importazione e, mediamente, nel mondo l’85% della soia è Ogm. Noi quotidianamente mangiamo Ogm, lo facciamo consumando i prodotti a noi più cari (formaggi, prosciutti etc.), che sono frutto di allevamenti di animali i cui mangimi sembrano tutto fuorché non Ogm. Allora come possono essere pericolosi questi prodotti? Allora forse non lo sono. E se non ci fidiamo ancora, perché non studiarli come chiedono gli agricoltori e gli scienziati?
A me quindi pare che tutta l’opposizione agli Ogm si restringe ad una sola caratteristica degli Ogm ossia la loro coltivazione (e alla possibilità della sperimentazione in pieno campo per la ricerca scientifica pubblica).
Il cittadino resta ignaro di cosa mangi e di come sia esposto (per suo beneficio) a Ogm, e gli steccati e i fili spinati vengono eretti come se la coltivazione fosse un problema sanitario ed identitario delle produzioni tipiche italiane. Eppure la moda del made in Italy esporta capi fatti anche in cotone Ogm e così anche l’alimentare italiano non si qualifica per essere Ogm-free, ma per essere buono, anzi buonissimo. A mia conoscenza non esiste un prosciutto di Parma o di san Daniele, un Grana Padano o un Parmigiano reggiano che si vendano in Italia o nel mondo come Ogm-free (ma se mi sbaglio chiedo che i consorzi che attuano politiche diverse e con quali elementi migliorativi informino del contrario). Eppure io continuo a pensare (e non sono sola) questi siano fondamentali pezzi di identità e di vanto nazionale di cui andare orgogliosi.
Caro Cortiana, se lei vuol fare una battaglia affinché tutti i derivati da Ogm abbiano con una specifica etichetta che informi il consumatore io sono dalla sua parte, ma non mi troverà con lei se si volesse continuare a spaventare i consumatori con allusioni, dubbi, paure o angosce come se la comunità scientifica fosse divisa a metà sul tema degli Ogm. Gli scienziati italiani hanno studiato, valutato e deciso: gli Ogm anche sperimentati in pieno campo sono un elemento indispensabile per il progresso del paese ed anche per aumentare la qualità dei nostri prodotti tipici.
25 GIUGNO 2014
Fiorello CortianaOgm, niente terrorismo ma decidere spetta alla politica
Il
tema pone un insieme di implicazioni che vanno oltre la ricerca
scientifica e chiamano in causa la politica e le sue istituzioni
Gentile
senatrice a vita Cattaneo, la ringrazio per la risposta
alla
mia lettera aperta sugli Ogm, ma alcune sue affermazioni lì
contenute meritano un chiarimento per continuare il dialogo in modo
produttivo.
Io
non ho mai spaventato i consumatori «con allusioni, dubbi, paure o
angosce» e non ho proposto letture per ricordare «cosa pensavamo
nel secolo scorso della tematica degli Ogm». In realtà si tratta di
una questione non conclusa, neanche nel mondo scientifico.
È
vero, alcuni scienziati italiani, non “gli scienziati italiani”,
«hanno studiato, valutato e deciso: gli Ogm anche sperimentati in
pieno campo sono un elemento indispensabile per il progresso del
paese e anche per aumentare la qualità dei notri prodotti tipici»,
alcuni, e lei tra questi, hanno promosso un appello pro-Ogm alla
vigilia della sentenza del Tar sulla coltivazione del mais
geneticamente modificato nel Friuli.
Gli
scienziati del rapporto pubblicato dall’Unctad, la Conferenza Onu
sul commercio e lo sviluppo, hanno comparato la sicurezza alimentare
in 5 paesi Sud americani non-Ogm (Cile, Columbia, Venezuela, Perù,
Bolivia) con quella in 4 paesi Ogm (Argentina, Brasile, Paraguay,
Uruguay). Nei non-Ogm i miglioramenti sono molto simili mentre in
quelli Ogm si rileva una maggiore inclinazione alla insicurezza
alimentare. Era il 2013, non il secolo scorso. Sempre nel 2013
Science ha pubblicato i dati sull’aumento delle vendite di
pesticidi e l’aumento dell’uso dei diserbanti proprio in
relazione alle piante nei campi transgenici. Questo mentre aumenta la
tolleranza delle erbe infestanti agli erbicidi, l’insorgenza di
insetti resistenti alle tossine prodotte dalle piante geneticamente
modificate e il rischio di contaminazione genetica di varietà
locali. La comunità scientifica è divisa sul tema Ogm.
Questo
insieme di implicazioni, senza l’intenzione di spaventare
chicchessia, ha portato l’Ue, nel Trattato sul Funzionamento
dell’Unione Europea-Tfue, ad adottare il Principio di precauzione
in materia ambientale per una tutela «fondata sui principi della
precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della
correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati
all’ambiente e sul principio di “chi inquina paga”». Proprio
con riferimento alle fonti primarie dell’Ue il Tar del Lazio con la
sentenza del 23 aprile 2014 ha respinto il ricorso di coloro che
volevano coltivare mais geneticamente modificato in Friuli, motivando
che «quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla
portata di rischi per la salute delle persone, possono essere
adottate misure protettive senza dover attendere che siano
esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi».
Lo scorso 12 giugno il Consiglio dei ministri europei dell’ambiente
ha concordato il nuovo testo di Direttiva europea prevedendo che ogni
Stato membro sia autorizzato ad assumere un proprio provvedimento di
divieto o limitazione di Ogm nel proprio territorio. Come aveva fatto
il governo italiano per il mais transgenico in Friuli e come il
governo Renzi ha confermato di voler continuare a fare.
Credo
che dobbiamo andare oltre la giustapposizione dei nostri punti di
vista sulla questione affinché sia possibile un confronto
positivo.
Per questo mi interessa che lei si esprima sulle questioni sostanziali che ho sollevato. Partiamo dalla relazione tra Ogm e la fame nel mondo dato che ogni anno muoiono di fame e malnutrizione milioni di persone nel mondo e 850 milioni soffrono la fame. Dalla facoltà di Agraria dell’università di Milano hanno rilevato che solo in Italia ogni giorno finiscono nelle discariche 4 mila tonnellate di alimenti acquistati e non consumati. Il 15% del pane e della pasta, il 18% della carne e il 12% della verdura e della frutta. Ognuno in un anno butta circa 27 chili di cibo commestibile, più di 500 euro di spesa. I supermercati eliminano circa 170 tonnellate all’anno di cibo perfettamente consumabile: alimenti ancora sigillati che sono stati ritirati dagli espositori perché dopo due giorni scadono, o perché la confezione ha dei difetti nel marchio o nell’etichetta, perché non è più di moda, o ancora perché l’alimento è esteticamente troppo maturo, come le banane con la buccia a macchie marrone. Il cibo di scarto nasce già mentre viene prodotto, poiché il margine di guadagno sarebbe troppo basso così non viene raccolto. Circa il 15% dell’intero raccolto di zucchine diventa rifiuto. Un altro 10-15% viene scartato per questioni estetiche: arriviamo così al 30% del cibo prodotto che diventa scarto. Con ciò che scartano la grande distribuzione e i consumatori finali si raggiungono 6 milioni di tonnellate di alimenti scartati ogni anno in Italia. Basterebbero a sfamare tre milioni di persone. Guardiamo ancora più in là, ai circa 80mila pasti quotidiani che Milano Ristorazione cucina per 450 istituti scolastici milanesi: circa 8 tonnellate di cibo scartato al giorno sulle 32 tonnellate complessive di cibo preparato al giorno, il 25%. C’è un margine amplissimo di lotta allo spreco.
Per questo mi interessa che lei si esprima sulle questioni sostanziali che ho sollevato. Partiamo dalla relazione tra Ogm e la fame nel mondo dato che ogni anno muoiono di fame e malnutrizione milioni di persone nel mondo e 850 milioni soffrono la fame. Dalla facoltà di Agraria dell’università di Milano hanno rilevato che solo in Italia ogni giorno finiscono nelle discariche 4 mila tonnellate di alimenti acquistati e non consumati. Il 15% del pane e della pasta, il 18% della carne e il 12% della verdura e della frutta. Ognuno in un anno butta circa 27 chili di cibo commestibile, più di 500 euro di spesa. I supermercati eliminano circa 170 tonnellate all’anno di cibo perfettamente consumabile: alimenti ancora sigillati che sono stati ritirati dagli espositori perché dopo due giorni scadono, o perché la confezione ha dei difetti nel marchio o nell’etichetta, perché non è più di moda, o ancora perché l’alimento è esteticamente troppo maturo, come le banane con la buccia a macchie marrone. Il cibo di scarto nasce già mentre viene prodotto, poiché il margine di guadagno sarebbe troppo basso così non viene raccolto. Circa il 15% dell’intero raccolto di zucchine diventa rifiuto. Un altro 10-15% viene scartato per questioni estetiche: arriviamo così al 30% del cibo prodotto che diventa scarto. Con ciò che scartano la grande distribuzione e i consumatori finali si raggiungono 6 milioni di tonnellate di alimenti scartati ogni anno in Italia. Basterebbero a sfamare tre milioni di persone. Guardiamo ancora più in là, ai circa 80mila pasti quotidiani che Milano Ristorazione cucina per 450 istituti scolastici milanesi: circa 8 tonnellate di cibo scartato al giorno sulle 32 tonnellate complessive di cibo preparato al giorno, il 25%. C’è un margine amplissimo di lotta allo spreco.
Il
modello di sviluppo agricolo della filiera agro-alimentare fondato
sugli Ogm si fonda sulla brevettazione delle sequenze geniche degli
organismi modificati, quindi sulla privatizzazione della conoscenza.
Il fine non è quello di nutrire il Pianeta ma proporre un modello
commerciale per il controllo delle sementi e la dipendenza degli
agricoltori, pesticidi ed erbicidi inclusi, con la conseguente
distruzione delle reti di agricoltura locali. è proprio quella
tipicità locale che caratterizza l’Italian Food e ci rende
competitivi e attraenti nei mercati del mondo.
Concordo
con lei sulla utilità che tutti i derivati da Ogm abbiano «una
specifica etichetta che informi il consumatore». Sono interessato
agli sviluppi del biotech sia per i test sugli alimenti sia per il
sequenziamento delle piante al fine di vedere l’efficacia degli
incroci vegetali, come è stato fatto per la vite senza Ogm. Ma
converrà con me sulla evidenza dell’ampiezza delle implicazioni
legate all’introduzione degli Ogm: spreco e sicurezza alimentari,
impatto ambientale, la disponibilità della conoscenza come bene
comune, apertura dei mercati e giustizia sociale. Insomma la
questione della sostenibilità.
Come
può vedere sono un insieme di implicazioni che vanno oltre la
ricerca scientifica e chiamano in causa la politica pubblica e le sue
istituzioni. Il parlamento non è una camera delle corporazioni e le
sue prerogative e responsabilità di valutazione e di scelta non
possono essere sostituite dalle decisioni di alcuni scienziati per
quanto prestigiosi essi siano.
http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/83359.pdf
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