Pensare che il crepuscolo di Silvio Berlusconi sia una faccenda sua e della sua coalizione, i cui esiti sono consegnati al triangolo Alfano-Maroni-Scilopoti, mentre chi è oggi all’opposizione ricaverà una rendita di posizione automatica, da condividere o da contendersi, costituirebbe un’irresponsabile velleità. Berlusconi non è la causa del disastro della politica italiana bensì il suo prodotto più probabile, colui che della reazione politica se ne è avvalso, confermando e formando l’individualismo furbo degli italiani attraverso le sinergie di un sistema mediatico pervasivo.
Il senso comune dell’agire collettivo non cambierà per il solo venir meno della figura simbolica e di potere di riferimento.
Occorre un salto, occorre produrre una discontinuità, un registro mediatico e una architettura istituzionale che rovescino la deriva personalistica e plebiscitaria fondata sul populismo.
In Italia l’afasia autoreferenziale di un premier impegnato nelle sue vicende giudiziarie e sorpreso dalla disobbedienza civile, che ha prodotto il quorum ai referendum, ancora fa velo ad un montante sentimento antipolitico che non si limiterà all’astensione elettorale e ai neotribalismi dei patrioti padani.
Mentre le scelte finanziarie avvengono in chiave extrastatuale: con la soggettività politica del piano Marshall europeo o con il modello globalizzato messo in campo da Marchionne. Insieme all’esilio dei giovani laureati e alla precarietà di chi rimane, l’estraneità alla qualificazione e alla dignità professionali si accompagna ad una estraneità alla politica come espressione di una cultura della cittadinanza condivisa, dell’ascolto, della mediazione, dell’assunzione di responsabilità.
Invece di preoccuparci dell’identità di SpiderTruman e della veridicità del suo video mascherato su You Tube dovremmo guardare le diverse centinaia di migliaia di persone che in pochi giorni hanno affollato la sua pagina su Facebook e vedere i commenti e i giudizi che la Rete raccoglie nei blog e nei siti più diversi. Non si tratta di uno sfogo di tante singolarità nella dimensione virtuale ma della definizione di una indignazione collettiva virale, che va ben oltre la rete digitale e obbliga il resto del sistema mediatico a cavalcare l’onda: de Kerckhove ha parlato di “inconscio connettivo”.
Due cose devono preoccuparci: la natura antipolitica dell’indignazione che mette insieme i privilegi della Casta nominata e gli istituti della politica democratica e l’illusione che la caduta dei dinosauri broadcast come Berlusconi e Murdoch resetterà il sistema e si ripartirà dalla situazione precedente.
Questo disordine disintermediato non avrà un esito antidemocratico se si praticherà un modello fondato sulla partecipazione informata, se procedure di democrazia deliberante consentiranno alla riserva di intelligenza presente in tante esperienze della sussidiarietà, accademica, imprenditoriale e associativa, di condividere responsabilità pubbliche. La Rete racconta anche di queste esperienze, scegliere di connetterle con la dimensione pubblica, fuori da fedeltà e appartenenze che non siano quelle della Costituzione repubblicana, è un atto di discontinuità che consente di risignificare la politica. Nel laboratorio milanese una finestra per la consapevolezza connettiva si è aperta, ogni scorciatoia porterebbe altrove.
martedì 26 luglio 2011
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