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mercoledì 10 marzo 2010

Internet è Libertà


Internet è libertà? “Internet è libertà”, l’incontro dell’11 marzo alla Sala della regina di Montecitorio introdotto dal Presidente della Camera Gianfranco Fini, propone questa relazione in modo affermativo e il sottotitolo “Perché dobbiamo difendere la rete” esplicita l’affermazione come una consapevolezza a scanso di ogni ingenuo velleitarismo. L’iniziativa si tiene nell’anno che L’Agenda di Lisbona propone come quello nel quale “l’Europa deve divenire il continente più competitivo nella società della conoscenza”.

Titolo e sottotitolo suonano come un impegno ed un richiamo per la Camera dei Deputati che, di legislatura in legislatura, di maggioranza in maggioranza, conosce svariate iniziative parlamentari e governative che vivono la rete e la sua interattività come una minaccia all’ordine costituito, sia esso economico o informazionale. La Rete non conosce scarsità nello scambio e nel consumo di contenuti, così non conosce la mediazione broadcasting del sistema radiotelevisivo e cartaceo per quello che riguarda le informazioni. La sua natura relazionale consente una condivisione della conoscenza prodotta ed una partecipazione informata alla “cosa pubblica” mai conosciute prima. Internet si propone come il più ampio spazio pubblico prodotto e alimentato dall’umanità lungo i millenni, una vera e propria impresa cognitiva collettiva. L’equazione tra internet e libertà sembra quindi una constatazione di fatto, ma sappiamo che la realtà è diversa. Nel nome della lotta alla contraffazione, piuttosto che al terrorismo, alla pornografia, alla difesa della “morale socialista”, in tutto il mondo, da oriente ad occidente, per via normativa o tecnologica si cercano di reintrodurre condizioni di scarsità e controllo che la natura disintermediata delle relazioni in rete non conosce. Non si tratta solo di un “ritardo” della politica pubblica o dei modelli commerciali nell’adattarsi alla società e alla economia della conoscenza e della trasparenza. Ci troviamo di fronte ad un “luddismo cognitivo” ad una pervicace omeostasi degli interessi, delle culture, dei modelli di partecipazione e di relazione dello scorso secolo, dello scorso millennio… E’ un approccio che non ci possiamo permettere di fronte alla tribalità dell’integralismo, ai protezionismi, ai problemi climatici ed energetici, ai nuovi protagonismi economici, politici e culturali del multilateralismo. Non possiamo costruire un futuro possibile con la testa girata indietro. Sono cadute le ideologie, ma le reti digitali, la Rete come ecosistema sociale chiama in causa in modo ineludibile la politica. La “lectio magistralis” di Lawrence “Larry” Lessig- Docente di legge all'università di Standford, fondatore di Creative Commons e Direttore del Center for Ethics” dell’ Harvard University, svolgerà il tema “L’ideale di trasparenza che viene dalla Rete. E la sua realtà”. Con la bufera giudiziaria relativa al G8 e il grande pasticcio dell’accredito delle liste elettorali il tema trattato da Lessig non poteva essere più attuale. Da anni il professore si batte per il ripensamento della proprietà intellettuale attraverso le licenze Creative Commons-CC, un impegno a favore di coloro che vogliono passare da “tutti i diritti riservati” ad "alcuni diritti riservati". Occorre andare oltre l'improprio tentativo di applicare al cyberspazio una disciplina sorta per regolare fattispecie giuridiche specifiche dello spazio reale. Lessig sostiene da tempo che le attuali leggi occidentali in materia di diritto d'autore vìolino la natura cooperativa della produzione di valore in rete basata sulla condivisione della conoscenza e soprattutto violino un principio costituzionale, secondo cui uno dei doveri dello Stato è quello di favorire la diffusione della conoscenza "E' necessario che gli organi governativi si decidano a rivedere la legislazione vigente in materia di diritto d'autore, soprattutto in vista dell'evoluzione sociale e culturale dovuta all'espansione delle nuove tecnologie. Dovremmo tutti riconoscere che l'opera creativa dipende in parte dal copyright, che è una limitazione per creare determinati incentivi per l'autore. Io credo nel copyright, in particolare nelle versioni limitate che esistevano negli Stati Uniti in origine: un sistema opt-in, nel quale cioè era possibile scegliere se entrare. Il che significa che le sole persone che si avvantaggiavano del copyright, erano coloro che avevano bisogno di incentivi commerciali. Nel presente invece dovremmo riconoscere che le leggi del copyright sono cambiate in modo drastico, oggi il copyright è automatico, ed è un sistema opt-out, cioè dato per scontato: bisogna scegliere di abbandonarlo se si vuole. Il fatto che l'autore abbia bisogno della protezione per l'incentivo commerciale non conta: il copyright parte automaticamente a prescindere dalla volontà dell'autore. Tutte le opere creative sono protette automaticamente per la vita dell'autore più 70 anni. Il che significa che, per utilizzare qualsiasi opera creativa, è necessario chiedere il permesso, almeno se l'utilizzo che se ne fa produce una copia». Se trasponiamo tal quale il “diritto d’autore” nell’ecosistema digitale «Ogni utilizzo è di fatto una copia, ogni cosa che si fa produce una copia, il che automaticamente significa che ogni cosa che si fa in una rete digitale è soggetta a regolamento delle leggi del copyright, non c'è spazio di manovra, non ci sono spazi liberi. Nel contesto della musica innanzitutto». Così senza condivisione della conoscenza, senza contaminazioni, non avremo nuove combinazioni e precluderemo la possibilità di produzione di valore creativo. Con le Creative Commons si vuole sviluppare un sistema di tutela delle opere di intelletto, in grado sia di adeguare la normativa sul diritto d'autore alla natura relazionale di internet, sia di proteggere opere di valore pubblico dalla esclusiva privatizzazione.
Lessig in veste di collaboratore di Barack Obama promuove una politica all’insegna della partecipazione e della trasparenza. "
Change Congress", la nuova iniziativa lanciata da Lawrence Lessig Parte con tre proposte impegnative per i politici: la promessa di non accettare contributi dalle lobby e dai comitati di azione politica, l’impegno a vietare per sempre la destinazione di denaro a progetti di quartiere di discutibile valore, l’impegno a sostenere il finanziamento pubblico delle elezioni, e la promessa di promuovere una maggiore trasparenza del funzionamento del Congresso. Tra i primi argomenti di cui si occupa c'è il cambiamento climatico. Ma non solo questo: guerra in Iraq, istruzione, sanità. Lessig ha scoperto, dopo aver trascorso quindici anni occupandosi di diritto e delle potenzialità di una rete aperta e indipendente, che il Web rappresenta uno straordinario strumento di riforma: “La libertà da limiti - ha dichiarato – e la dirompente capacità di attivare l’indipendenza, che sono costate a Internet una lunga esclusione, sono la libertà e l’indipendenza di cui c’è bisogno ovunque, nel governo USA”. “Le istituzioni non godono della fiducia dei cittadini a causa della corruzione dei funzionari pubblici, ossia del rapporto tra lobby, finanziatori e potere politico, la cui immagine non viene mai abbinata al concetto di indipendenza proprio per via dell’ormai consolidata opinione che politica e interessi economici vanno a braccetto: “C’è un grave problema di indipendenza e la vera crisi sta nel fatto che non consideriamo la democrazia come uno strumento per risolvere i problemi”. “La sola strada per ripristinare la fiducia è ripristinare l’indipendenza, rompendo ogni possibile legame tra soldi e scelte politiche”. Lessig ha parlato del rapporto tra corruzione dei funzionari pubblici e sfiducia negli Stati Uniti. Dalla sanità (ricordando la "tobacco science", la scienza del tabacco: le ricerche pagate dalla multinazionali) al Parlamento. La corruzione (e il denaro che la alimenta) è legata alla sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche. E la sfiducia alimenta disinteresse e disattenzione. Lessig nota però una differenza: se fino a pochi anni fa era diffusa soprattutto una "read only culture" (una cultura costruita unicamente attraverso la lettura/ascolto/visione), con internet diventa possibile una "read write culture" , dove il pubblico può scrivere e commentare, per questo ha titolato polemicamente un suo saggio “Against transparency”. "Una società libera - libera dalla "corruzione" che caratterizza la nostra società - "è presupposto per una cultura libera, e per molto altro.".
Per questo le potenzialità di partecipazione informata offerte da internet vanno riconosciute, affermate e difese, altrimenti non sono garantite da nessun automatismo. Suonano come un saggio monito ed una sollecitazione alla politica le parole di Derrick de Kerckhove, direttore del Programma McLuhan in Cultura e Tecnologia “la libertà su Internet va difesa con realismo e guardando bene tutti gli aspetti della verità. Internet, se male usata, è pervasiva ancora più della tv, entra in ogni recesso della nostra vita”. C’è da augurarsi che il Parlamento Italiano, che per primo ha sostenuto la proposta di un “Internet Bill of Rights” una “Carta dei Diritti di Internet”al Summit dell’ONU sulla Società dell’Informazione-WSIS, sappia esserne all’altezza.

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