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domenica 12 novembre 2023

LA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE NON È UN DIVERSIVO

LA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE NON È UN DIVERSIVO Guardando alla politica nazionale di Fiorello Cortiana Costituirebbe un grave sintomo di strabismo politico considerare un diversivo il progetto di riforma della Costituzione approvato dal Governo Meloni. Al contrario, la proposta costituisce il compimento di un processo alimentato nei decenni, tanto dai governi di centrodestra che di centrosinistra, con la riduzione a un ruolo notarile delle assemblee elettive e la personalizzazione plebiscitaria delle responsabilità apicali di governo. Una architettura costituzionale sempre respinta dai referendum popolari, con una percentuale di partecipazione al voto significativamente superiore a quella delle scadenze elettorali nazionali e locali. Non si tratta di un processo interno all’evoluzione della cultura politica delle classi dirigenti del nostro Paese: esso si inscrive dentro la crisi dell’Istituto della Democrazia che interessa tutti i paesi che lo hanno praticato. Una crisi di cultura politica, una mancanza di ambizione a esprimere una visione e una soggettività proprie, una crisi che accompagna la deriva finanziaria dell’economia e il ruolo preponderante dei signori dei Big Data e le loro corporation. Così, laddove le coordinate economiche dei singoli paesi sono definite dal Fondo Monetario Internazionale e dalle banche centrali, Giorgia Meloni, quella che ‘non ci saranno più governi tecnici’ e ‘giochi di palazzo’, si è preoccupata di assicurare gli istituti centrali con l’attribuzione di ministeri a Giorgetti e Tajani, in continuità con il governo Draghi. Dentro questi limiti costrittivi lo spazio di azione autonoma, accompagnato da una retorica appassionata, è quello relativo alla riorganizzazione dell’architettura costituzionale nazionale e alla sostituzione della nomenclatura partitocratica precedente per l’occupazione della articolazione istituzionale, amministrativa e nelle Partecipate. Il tutto dentro una autoreferenzialità partitica indifferente al distacco dei cittadini dalle istituzioni e dalla cosa pubblica, sia a livello locale che nazionale. Non è quindi paradossale che questa spirale veda i gruppi dirigenti della classe politica usare come leva di competizione elettorale il marketing populista, personalistico e plebiscitario. Con leggi elettorali incostituzionali che riducono i cittadini a spettatori e tifosi, senza il diritto e la responsabilità di selezione dei rappresentanti parlamentari, alla faccia della Legge Truffa del 1953 e del suo premio di maggioranza. Così, in luogo di mettere mano alle ragioni della degenerazione partitocratica, si è usato e proposto l’antipolitica come registro strategico per il consenso. Dalla Roma Ladrona di Bossi al predellino dell’auto, in piazza San Babila, dal quale Berlusconi si propose come alternativa al Palazzo. Dal contrasto all’invasione degli immigrati al sovranismo nazionale nella competizione tra Salvini e Meloni, fino ai Vaffa Day e al Parlamento da aprire come una ‘scatola di sardine’ di Grillo e 5S. Non si tratta, perciò, di un diversivo rispetto a una politica che ha rovesciato ogni promessa e impegno elettorale: dalla sanità al territorio, dalla scuola alla innovazione. Il riduzionismo autoritario della riforma costituzionale costituisce il progetto politico portante della ridotta soggettività possibile per il centrodestra. E’ vero: si tratta dell’autonomia di azione nel cortile nazionale, ma la cosa ci riguarda tutti perché questo cortile è anche il nostro. La questione è importante, con esiti preoccupanti per la possibile compromissione della effettività della nostra democrazia parlamentare repubblicana. Guardando l’articolato della riforma proposta si evidenzia lo scambio tra centralismo nazionale e l’autonomia differenziata per le Piccole Patrie Padane. La cosa porta con sé l’ulteriore neutralizzazione del Parlamento e quella di ogni parlamentare eletto/nominato, eppure l’articolo 67 della Costituzione dice: “Ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”, nonché la riduzione a una funzione notarile della Presidenza della Repubblica, altroché ‘garante’. Dove la politica e la sua classe dirigente non sono in grado di esprimere continuità di maggioranze e rappresentanza riconosciuta ci si affida all’ingegneria elettorale e all’architettura costituzionale. Una scorciatoia patologica e un sotterfugio deteriore. Così l’articolo 3 modifica l’art. 92 della Costituzione: “Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri il 55 per cento dei seggi nelle Camere. Il Presidente del Consiglio dei Ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura. Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i Ministri.”. L’articolo 4 modifica l’art. 94 della Costituzione: A) Il terzo comma è sostituito dal seguente: “Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere.”; B) dopo l’ultimo comma è aggiunto il seguente: “In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio, il Presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere.” Diceva M: “Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.” Ci hanno pensato i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni. Il mantra mistificante della Meloni, per il referendum confermativo, è chiaro “garantire che governi chi è stato scelto dal popolo” con “stabilità” e non vengono toccati “i poteri del Capo dello Stato”. O prepariamo il NO al referendum confermativo come volontà di attuazione costituzionale della cultura della cittadinanza condivisa e dei territori o saremo asfaltati dalla omologazione insofferente. Non basterà il contrasto nel merito per bocciare questa riforma, la democrazia si nutre della effettività e della responsabilità della partecipazione e della rappresentanza lungo tutta la sua articolazione istituzionale. Il Titolo Quinto della Costituzione non è concretizzato: Città Metropolitane e Province non hanno poteri né organi eletti dai cittadini. La specifica sollecitazione congiunta della Camera del Lavoro e di Assolombarda è scivolata via, così come il Discorso alla Città del suo Arcivescovo Delpini. Così non è rispettata la sentenza 131/2020 della Corte Costituzionale che dà effettività alla sussidiarietà con la concretezza procedurale per la co-programmazione, co-progettazione ed accreditamento degli ETS-Enti del Terzo Settore. Così a Milano il Consiglio e i Municipi sono ambienti abilitanti per aspirazioni personali non organi con prerogative effettive ed efficaci. La libertà è la responsabilità della partecipazione non fare gli spettatori votanti all’X Factor delle tornate elettorali.

martedì 7 novembre 2023

Scusi... il pronto soccorso uro-andrologico?

Panorama della Sanità INFORMAZIONE & ANALISI DEI SISTEMI DI WELFARE ANNO XXXVI • N. 11 NOV 2023 “Scusi... il pronto soccorso uro-andrologico?” 66 di ALESSIO CORTIANA Public Health PhD Student, School of Medicine and Surgery-University of Milano Bicocca Learning Scusi... il pronto soccorso uro-andrologico?
La salute sessuale maschile è un argomento rimosso dalla cultura occidentale. Una questione di salute pubblica non ulteriormente rinviabile na questione di salute pubblica non ulteriormente rinviabile di ALESSIO CORTIANA Nel nostro Paese assistiamo ad una preoccupante carenza di salute e benessere maschile che riguarda i giovani uomini, ingiustificatamente esposti all’anonimato sanitario e privati della possibilità, data da politiche di informazione e formazione sulla salute sessuale, di mettere le basi per un’età adulta e una vecchiaia di qualità in termini di benessere psico-fisico, con ricadute positive sui costi sociosanitari e sulla qualità sociale. Si tratta di una questione di salute pubblica non ulteriormente rinviabile. Diverse ricerche hanno individuato nel fattore culturale un elemento cruciale che ha visto dominare la concezione di mascolinità propria della cultura mediterranea, con l’esito di una concezione stereotipata che affonda le sue radici nelle espressioni culturali e relazionali dell’uomo primitivo, che doveva essere prestante per sopravvivere alle battute di caccia ed alle intemperie profonde dell’era glaciale. Secondo Bly, questo modello primitivo è intrinseco all’uomo perché alla base del suo sviluppo filogenetico, Valdagni, afferma che “uno degli stereotipi della mascolinità, l’atteggiamento di sfida nei confronti del rischio, influenza in modo negativo il comportamento degli uomini nei confronti sia della prevenzione, sia della cura tempestiva delle malattie”. “OCCORRONO POLITICHE PUBBLICHE DI COMUNICAZIONE SOCIALE VOLTE ALL’IMPLEMENTAZIONE DI UN NUOVO PARADIGMA CULTURALE E CLINICO” È un fatto che gli uomini, contrariamente alle donne, si recano in numero inferiore dal medico, ricorrono meno all’uso di farmaci, alle vaccinazioni ed agli screening preventivi, preoccupandosi poco o per niente della propria salute, se non nella misura del minimo indispensabile, considerando la malattia un vero e proprio tabù, che emerge maggiormente nell’affrontare tutte le patologie connesse alla salute uro-genitale perché rimandano ai significanti stessi dell’identità maschile (gli organi dell’apparato genitale) e allo stesso tempo sono il perno stereotipato e stereotipante dell’identità di genere. Questo stereotipo non porta soltanto ad un’evidente riduzione nell’accesso alle visite, ma anche ad una insufficienza della conoscenza comune diffusa tra la popolazione relativamente alle patologie specifiche dell’apparato maschile, ad una carenza della loro considerazione come eventualità e alla conseguente assenza di preparazione nel saperle riconoscere, nel ritardo nella richiesta di intervento quando si presentano. Ne costituisce un caso esemplare, sconosciuto ai più, la torsione del funicolo spermatico, altrettanto frequente del varicocele, che necessita dell’intervento chirurgico di derotazione per la preservazione della gonade da effettuare entro un massimo di 4 ore dall’insorgenza, essendo la latenza temporale correlata a una progressiva necrosi dei tessuti con la potenziale perdita dell’organo. Se non è culturalmente concepito che l’uomo possa contrarre patologie a carico dell’apparato uro-genitale, conseguentemente non può esistere la malattia e, quindi, non si rende necessario un luogo dedicato alla cura di qualcosa che non può verificarsi. Per affrontare consapevolmente i problemi di salute è necessario saperli riconoscere, per questo sono fondamentali la formazione e l’informazione diffusa, che insieme concorrono a determinare il background socio-culturale della popolazione. Occorrono perciò politiche pubbliche di comunicazione sociale volte all’implementazione di un nuovo paradigma culturale e clinico finalizzato alla prevenzione e alla cura, con l’offerta di servizi specifici, di strutture sanitarie dedicate, di programmi sanitari a breve, medio e lungo termine di prevenzione e promozione della salute maschile, che la migliorino in termini qualitativi e quantitativi. Sarebbe altrettanto necessario creare programmi a lungo termine per la realizzazione di strutture cliniche dedicate alla salute maschile, ospedali uro-andrologici dotati di pronto soccorso, in analogia con l’ospedale e il soccorso ostetrico-ginecologico. “L’andrologo, questo sconosciuto: la maggioranza dei ragazzi italiani non si è mai fatta visitare da un esperto della salute maschile, eppure fra i 14 e i 20 anni uno su tre ha già patologie andrologiche con ricadute sulla fertilità in un caso su dieci.” I maschi, dotati di un apparato genitale eteroflesso, sembrano quasi non aver maturato alcuna curiosità di sé dal punto di vista della relazione tra la propria dimensione interna e quella esterna. Di più, in forza dello stereotipo dell’uomo possente e potente, che è uomo in quanto può dominare tramite l’atto sessuale ed il suo complesso di organi genitali esterni, quindi invasori di dimensioni interne e intime, vige un implicito riguardante l’identità di genere, la sessualità e la salute: non se ne parla se non nei termini di potenza maschile, declinata come virilità invulnerabile. È anche così che si sono formate le cortine di ignoranza o anonimato delle patologie maschili, nonostante la loro incidenza, come nell’esempio citato della torsione testicolare. In controtendenza si pongono le strutture e gli interventi di cura delle patologie con incidenza maggiore tra i meno giovani, dai tumori prostatici all’impotenza, alla disfunzione erettile, visto che pur nella permanenza dei tabù la popolazione più anziana può essere pensata meno potente secondo il paradigma stereotipato della virilità. Così come una maggiore attenzione è stata dedicata alle patologie maschili della riproduzione poiché la capacità procreativa, oltre a conferire identità e quindi valore individuale e sociale, ha conseguenze economiche e giuridiche. Tuttavia, questi esempi di impegno per la promozione della salute maschile, così come i reparti di urologia e di andrologia, non realizzano spazi esclusivi con un approccio olistico e globale. Se vogliamo costruire una dimensione culturale che porti gli uomini ad attuare una prevenzione consapevole, dobbiamo offrire loro un habitat culturale, sociale, relazionale ed ambientale, che li faccia sentire accolti con i loro bisogni, con le loro paure, con le loro sensibilità, in strutture e con servizi finalizzati.

lunedì 6 novembre 2023

‘TECNOLOGIA E INTELLIGENZA ARTIFICIALE A SCUOLA: I PRO E I CONTRO’

‘TECNOLOGIA E INTELLIGENZA ARTIFICIALE A SCUOLA: I PRO E I CONTRO’ La giornata mondiale dell'insegnante di Fiorello Cortiana
Il confronto promosso dalla Associazione Docenti Articolo 33 e dalla Gilda degli Insegnanti su ‘Tecnologia e Intelligenza Artificiale a scuola: i pro e i contro, nella Giornata Mondiale dell’Insegnante, è stata quanto mai tempestiva. Sia dentro il passaggio strutturale che vede una estensione digitale dello Spazio Pubblico, sia alla luce delle tecnologie usate nei conflitti in atto con l’Invasione dell’Ucraina da parte della Russia e con l’aggressione a Israele da parte di Hamas. Una estensione digitale dello spazio pubblico che ha implicazioni profonde sulla sua natura costitutiva per la natura disintermediata e pervasiva della comunicazione sociale. Dentro questo ecosistema cognitivo collettivo costituito da Internet e da tutte le reti di rilevazione digitale ( basti pensare alle carte di credito o al Telepass) l’Intelligenza Artificiale (IA) apporta una ulteriore dimensione. La sua capacità di codificazione, la sua capacità analitica, la sua comparazione statistica, con una potenza di calcolo enorme e in crescita, possono coadiuvare molto positivamente l’efficacia delle nostre decisioni in specifiche situazioni e specifici settori. Nello stesso tempo non va sottovalutato il rischio di affidare il nostro processo cognitivo, nonché scelte con implicazioni etiche e politiche delicate, ad algoritmi semantici. Già viviamo nel tempo dei social network con la criticità dell’’effetto Google’, l’off loading/lo scarico cognitivo. Avere la consapevolezza dei cambiamenti in atto e delle loro implicazioni diventa così una precondizione per moltiplicare i ‘pro’ e ridurre i ‘contro’ nello sviluppo dell’IA. La giornata di confronto ha utilizzato un format che ha permesso sia il dialogo tra gli esperti, sia la loro relazione con gli oltre 200 insegnanti partecipanti e anche una intera classe della quale sarebbe interessante sapere le considerazioni. Ciò per la professionalità e la passione informata di Stefano Polli, Vice Direttore ANSA, che ha condotto il momento di esposizione e di Roberto Inciocchi, conduttore di Agorà su RAI Tre, che ha coordinato quello di confronto tra i relatori e con gli insegnanti. Ha aperto gli interventi Nello Cristianini, dell’Università inglese di Bath, uno degli scienziati che sta sviluppando l’IA. Cristianini ha posto l’accento sulla necessità delle culture necessarie a comprendere l’IA. Tenendo insieme cultura scientifica e cultura umanistica come due mani che applaudono per l’interazione tra algoritmi e linguaggi sociali. A iniziare dalla comprensione scientifica e di contesto dei termini utilizzati, ciò per fornire gli strumenti per la cultura e la comunicazione per un benessere emotivo e fisico. Le macchine informatiche oggi guardano Internet, analizzano migliaia di esempi e capiscono l’equivalenza: ad es. ‘Banana= Giallo Spinaci= Verde Carota=’. Ci sono cose che le macchine possono comprendere e noi no, e viceversa. Nessuno del resto separa i fatti dalle opinioni: ognuno guarda le cose dal proprio punto di vista anche le macchine con i loro algoritmi. Un pensiero scientifico e un pensiero critico garantiscono uno spirito critico e non omologato: capacità analitiche, capacità di fare ipotesi, capacità di mettere in discussione le ipotesi. Questo ci consente di rispondere a quesiti quali ‘l’IA può aiutare a potenziare lo spirito critico?’ constatando che Chat GPT e simili usano il linguaggio statistico ma non la capacità di pensare, ragionare e usare il pensiero critico. Sono solo un modello linguistico: occorre verificare la veridicità delle informazioni che usano. Cristianini di fronte alle preoccupazioni per l’IA ha esortato a curare l’ansia con la conoscenza e lo studio per esercitare una capacità e responsabilità di scegliere. Il quadro proposto da Cristianini è stato condiviso e sviluppato dagli altri relatori. Gilberto Corbellini, Storia della Medicina e Bioetica alla Sapienza, ha rilevato come l’ignoranza e l’omologazione accompagnano il declino della democrazia liberale. È evidente la dannosità della polarizzazione in chiave ideologica di contrapposizione alimentata da chatbot, come accaduto negli States con il RussiaGate. In Europa è maggioritario il gradimento per le democrazie, ma in Italia si ha il gradimento più basso. Corbellini ha interloquito con Chat GPT testando contraddizioni e attendibilità. E’ divertente la laconica risposta di Chat GPT ‘Fidati ma controlla sempre’. A una domanda di Cristianini aveva risposto ‘Se le persone si affidano solo a me potrebbero iniziare a credere che pensare è troppo faticoso’. Del resto, per natura siamo geneticamente pigri e ci affidiamo a chi può fare le cose per noi. Ma Giuseppe Corasaniti, Filosofia del Diritto Digitale alla Università Mercatorum, ha richiamato l’attenzione sul modo di comprendere intuitivo: le macchine non lo fanno, noi possiamo. Per questo è necessario che chi crea soluzioni tecnologiche venga responsabilizzato, già stiamo scontando lo scostamento tra i tempi storici del modello di sviluppo illimitato rispetto ai tempi biologici del vivente, ora dobbiamo essere consapevoli dell’ulteriore accelerazione dettata dai tempi tecnologici. Ana Millan Gasca, Matematiche Complementari all’Università Roma Tre, ha proposto la relazione tra alfabetizzazione scientifica e la formazione dell’essere umano. Dal 1500 abbiamo conosciuto una matematizzazione estesa e il giudizio culturale è dentro a questi tempi lunghi della rivoluzione scientifica/tecnica e con la scomparsa dello studio della storia del pensiero economico si studia la matematica senza comprenderne il senso. Siamo in una bolla educativo/scientifica e la scuola deve essere una camera di decompressione e di approfondimento. Una funzione complicata per la formazione di ambienti di iperspecializzazione dove le scienze hanno disertato la cultura umanistica. Oggi la comunità scientifica avverte la responsabilità di accettare di scegliere e di raccontare. La scuola deve puntare sul significato per trovare il proprio posto nel mondo e dare il senso del destino umano. Per questo occorre una valutazione dei problemi epistemologici delle discipline: la lingua non serve a vendere o a produrre ma a esprimersi. Millan Gasca ha esortato ad avere fiducia nei ragazzi, la scuola deve insegnare a scoprire il mondo. Corasaniti gli ha fatto eco: la scuola, anche dentro l’estensione digitale dello spazio pubblico, deve dare regole di comportamento, convivenza, dialogo. Quindi anche regole per l’IA, differenziate tra settori e con un’etica della responsabilità. Il programma sono gli studenti, cittadini liberi/ consapevoli/responsabili/critici. Oggi ci sono problemi di lettura e di scrittura negli studenti universitari, insieme a problemi di relazione sociale con le differenze e le regole. Per avventurarsi, sperimentare, verificare i limiti e mettere in crisi le logiche, occorre una cultura multidisciplinare lungo tutto il percorso di istruzione. Le idee contano se espresse concretamente, del resto, il significato etimologico di ‘sapere’ viene dal latino “aver sapore”, “odorare”. Non c’è solo Chat GPT, occorre addestrare i modelli linguistici, in modo dialogico, per avere risposte appropriate. Risposte coadiuvanti della decisione e non sostitutive, per un rapporto sereno e consapevole con la tecnologia. La scienza, la scuola: e la politica? Andrea Cangini, oggi Segretario della Fondazione Einaudi è stato il relatore del documento approvato all’unanimità a conclusione dell’Indagine Conoscitiva proposta dalla Commissione Istruzione pubblica, beni culturali del Senato sull’IMPATTO DEL DIGITALE SUGLI STUDENTI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AI PROCESSI DI APPRENDIMENTO. ‘Ci sono i danni fisici: miopia, obesità, ipertensione, disturbi muscoloscheletrici, diabete. E ci sono i danni psicologici: dipendenza, alienazione, depressione, irascibilità, aggressività, insonnia, insoddisfazione, diminuzione dell’empatia. Ma a preoccupare di più è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica… Sono gli effetti che l’uso, che nella maggior parte dei casi non può che degenerare in abuso, di smartphone e videogiochi produce sui più giovani.’ Chiaramente legati alle modalità di comunicazione dei diversi social. Cangini, con riferimento ai signori delle corporation del digitale, ha denunciato il condizionamento dei processi cognitivi, delle coscienze e delle decisioni da parte di un pugno di uomini con una polarizzazione della società. Ha riproposto il motto di Luigi Einaudi ‘Conoscere, dibattere, deliberare’. Per ‘ Uomini formati da uomini, per non parlare a vanvera’ ha chiosato Roberto Inciochi. Confermando quanto detto in apertura dal Coordinatore Nazionale della GILDA-FGU Rino Di Meglio ‘Cultura scientifica e cultura umanistica: non una contrapposizione tra assoluti ma una condivisione su educazione e consapevolezza. La medicina non è la censura ma lo sviluppo del senso critico nella scuola. Se l’insegnante conosce il suo alunno può distinguere la sua risposta da quella di Chat GPT. Gli insegnanti non formano sudditi ma coscienze critiche di cittadini.’ Un buon incontro per una condivisione di consapevolezza nella società della conoscenza, da sviluppare con occasioni di confronto tra buone pratiche di una piena relazione tra mente-corpo-natura per una cittadinanza piena e attiva.

mercoledì 1 novembre 2023

Tina, un esempio

Li radunarono tutti in piazza. Ragazze e ragazzi, tanti bambini. Volevano educarli e così li fecero assistere all’impiccagione di 43 giovani rastrellati nei dintorni. Poi, nonostante tanti tra i bambini si fossero sentiti male, fecero sfilare tutta la scolaresca sotto sotto i cadaveri appesi. I nazifascisti così educavano. Tra di loro, nella scolaresca, c’era Tina Anselmi. Una ragazzina, all’epoca. Che vide morire impiccato un amico, il fratello di una sua compagna di classe. Quell’orrore fu il suo punto di svolta. Perché da quel giorno Tina decise che “per cambiare il mondo bisognava esserci”, e divenne così partigiana. Fu staffetta, affrontò rischi enormi. Una volta dovette rimanere in un fiume gelido per non farsi scoprire, con un amico che le teneva la bocca chiusa con le mani perché dal freddo le battevano i denti. Ma la vera “vendetta” contro i nazifascisti l’ebbe nel dopoguerra, quando divenne la prima donna italiana a guidare un Ministero. L’ebbe con la legge sulla parità di trattamento uomo-donna sul lavoro. E a lei dobbiamo anche la nascita del servizio sanitario nazionale, la cui legge ebbe come prima firma la sua. Si spegneva oggi, il 1 novembre, una grande donna e una grande politica italiana. Fatta di una pasta diversa da molti e molte di quelle che vediamo oggi. A lei, a cui dobbiamo molto, il nostro ricordo.