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giovedì 28 maggio 2020

Per coltivare la memoria prima del prossimo autunno



I lingotti di Gelli, Gladio, le Br: viaggio nell’Italia degli intrighi

Le stragi di piazza Fontana e di piazza della Loggia, il finto rapimento di Sindona, la strage di via Fani: Fabio Isman li ripercorre in «Andare per l’Italia degli intrighi» 

di Gian Antonio Stella





E chi se lo ricordava il «Comitato proletario eversivo per una vita migliore»? Eppure nella storia dei misteri italiani dell’ultimo mezzo secolo spuntò un giorno perfino questa misteriosa sigla a cavallo fra il burocratese brigatista e la new age. Se lo inventò il bancarottiere Michele Sindona giurando d’essere sparito non per scappare da chi lo voleva in galera ma perché sequestrato e ferito da quell’irreale gruppuscolo terrorista. Tutto finto: a sparargli una revolverata alla gamba (dopo avergli fatto l’anestesia!) era stato infatti il medico, massone e amico Joseph Miceli Crimi. Tutto fumo per coprire una fuga rocambolesca che si sarebbe conclusa con una condanna all’ergastolo e un caffè al cianuro in carcere a Voghera due giorni (due!) dopo la sentenza.

 La memoria cancellata
Ma quanti sono gli italiani che ricordano, a distanza di poche manciate di anni, la storia recente del nostro Paese? Quella che ha segnato le nostre spaccature politiche, i guai economici, l’indebitamento folle, il declino culturale, morale, industriale di oggi? Come potrebbe l’Italia di certi quiz televisivi, convinta che Hitler prese il potere nel 1964 (!) o che Mussolini invitò Ezra Pound a palazzo Venezia nel 1979 (!), ricordare tragedie quali la strage di piazza Fontana del 1969 se sei su dieci degli studenti milanesi già nel 2005 l’attribuiva alle Brigate Rosse e due alla mafia?
Il «contesto»
Va da sé che il nuovo libro di Fabio Isman «Andare per l’Italia degli intrighi», uscito ieri per il Mulino, offre una rilettura di una stagione di sangue, tradimenti, gialli irrisolti, violenze feroci e complicità infami che aiuta tutti a non dimenticare. Non solo perché il giornalista, come inviato del Messaggero, ha visto in presa diretta quasi tutti gli intrighi raccontati (fino a farsi 131 giorni a Regina Coeli per non aver rivelato chi gli aveva fornito i verbali dell’interrogatorio del primo br pentito, Patrizio Peci) ma perché ogni ricordo è accompagnato da dati, cifre, dettagli che oggi appaiono stupefacenti. A partire dal Contesto, per dirla con Leonardo Sciascia, nel quale si sviluppò quella stagione di violenza rossa e violenza nera sfociata in centinaia di attentati, bombe, agguati e morti: «Nel 1960 62 prefetti su 64 erano stati funzionari nel “ventennio”; e tutti i 241 loro vice, tra i quadri fascisti; 120 su 135 questori provenivano dalle carriere precedenti». Tra loro anche quello di Milano ai tempi di Piazza Fontana, Marcello Guida: coi fascisti dirigeva il confino di Ventotene e Sandro Pertini, da presidente, si rifiutò pubblicamente di stringergli la mano. 
Tra bombe e misteri
E tornano a galla dettagli lontani e sbiaditi, se non rimossi. L’ordigno alla Rinascente dell’agosto ‘68 inesploso per un difetto e finito negli archivi per la «singolarissima rivendicazione preventiva, che rappresenta un hapax, un unicum: due giorni prima, una lettera alla questura, addirittura affrancata a carico del destinatario, con il volantino di una sedicente “Brigata anarchica Ravachol”». I troppi dubbi sull’ipotesi che il presunto bombarolo Pietro Valpreda, arrivato da Roma a Milano perché convocato proprio quel giorno dalla magistratura per dei volantini, avesse preso un taxi (facendosi notare dal taxista Cornelio Rolandi: «L’è lü») per fare 252 metri. Lo smistamento assurdo del processo a Catanzaro, torrida l’estate e gelida d’inverno al punto che gli avvocati sbuffavano: «Un giorno senza vento è meno raro / di un amico sincero a Catanzaro».
La nascita delle BR
E poi la strage di Piazza della Loggia a Brescia: «L’unica di cui esista un documento sonoro: si odono il boato, i lamenti, le urla dal palco ai manifestanti perché si mettano al riparo…». E i giornali dai nomi bellicosi: «L’assalto», «Forza uomo», «La Legione», «In piedi!», «Combattentismo attivo», «Conquista dello Stato», «La voce della fogna»... E la cattura a un passaggio a livello di Pinerolo del ricercatissimo Renato Curcio, il fondatore delle BR, «grazie all’infiltrazione di Silvano Girotto, detto “frate Mitra” per le sue prodezze, più bellicose che religiose, in Sudamerica». E l’incredibile velina dei servizi segreti che già nel novembre 1969, come rivelerà un documento da poco desecretato, identifica tutti i 68 partecipanti a un convegno di possibili «catto-brigatisti» e le targhe di tutte le 32 auto con le quali hanno raggiunto l’hotel Stella Maris di Chiavari. E la non meno stupefacente associazione tra Aldo Moro e l’ignoto «Antelope Cobbler beneficiario di una tangente nello scandalo Lockheed» sparata in prima pagina da Repubblica (notizia «originata, pare, da un assistente di Henry Kissinger») proprio la mattina in cui lo statista democristiano stava per esser rapito dalle Br nella mattanza di via Fani. 
Argo 16, Gladio, Gelli
E poi il racconto dell’ultima cena in famiglia di Guido Rossa, l’operaio dell’Italsider di Genova, delegato sindacale, che aveva avuto il fegato di denunciare un compagno che distribuiva volantini brigatisti. «La figlia Sabina ricorda un dialogo in casa, tra madre e padre: “Perché tu solo hai firmato, perché ti sei dovuto esporre tanto?”. “Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità; io ho fatto il mio dovere”». All’alba uscì per andare in fabbrica. Pochi passi e un sicario delle Br gli sparò quattro colpi alle gambe, un altro lo ammazzò: tre colpi di calibro 9. Alla schiena e alla testa. E poi ancora i silenzi su Gladio e sul Douglas C-47 Dakota in gergo «Argo 16» precipitato a Marghera che portava i «gladiatori» in Sardegna dove la struttura paramilitare appartenente alla rete internazionale Stay-behind aveva una base segretissima. Così protetta che l’Aga Khan, il quale voleva aprire al turismo l’area di Capo Caccia per la vicinanza ad Alghero, fu costretto a ripiegare sulla Costa Smeralda. E i misteri di Licio Gelli e di quella villa Wanda dove il «burattinaio» della P2 nascondeva 165 chili di lingotti d’oro nelle fioriere del giardino. 
Domande irrisolte
Troppe storie oscure, troppi depistaggi, troppi agenti dei servizi che facevano il doppio gioco, troppe domande irrisolte... Fra le tante, una quasi del tutto dimenticata: «Chi ha ucciso come un cane, per esempio, il 2 settembre 1980 a Roma, Maurizio Di Leo, tipografo del Messaggero, scambiato per un giornalista che non gli somigliava affatto? Un volantino dei Nar, due giorni dopo, ammette l’errore. Quarant’anni più tardi, nemmeno un indizio».

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